di Mariavittoria Orsolato

Ieri, nella data simbolica dell’ 11.11.11, il popolo di Occupy Wall Street ha indetto una giornata di mobilitazione globale per continuare la protesta contro la finanza globale, le politiche di austerità e in generale un sistema capitalistico oggettivamente arrivato al capolinea. In Italia l’invito d’oltreoceano è stato colto con entusiasmo e in più di 50 città lungo la penisola si sono svolte manifestazioni, flash mob e occupazioni. Per il movimento riorganizzatosi dopo il 15 ottobre, infatti, l’imminente fine dell’era Berlusconi non può essere festeggiata, né considerata come una vittoria: di fronte alla prospettiva di un governo tecnico manovrato da Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, l’unica cosa da fare è continuare a protestare.

I primi e i più numerosi a scendere in piazza sono stati, non a caso, gli studenti medi e universitari. I primi a sbattere il muso contro un futuro ormai negato e gli ultimi ad essere ascoltati dalle istituzioni. A differenza di quello che fu il primo passo della protesta e dell’autorganizzazione del movimento - quell’Onda che tre anni fa si riversò contro i tagli imposti dalla riforma Gelmini - i ragazzi oggi non cercano il dialogo con il palazzo ma puntano direttamente ad assediarlo, a delegittimarlo definitivamente per intraprendere un percorso di democrazia orizzontale.

A Roma, sfidando nuovamente l’ordinanza di Alemanno, hanno organizzato un presidio di oltre due ore in via XX settembre, davanti al Ministero del Tesoro. A Bologna, hanno dipinto grandi “V” rosse sugli istituti di credito, le sedi assicurative e davanti alla sede felsinea di Equitalia, l’agenzia di riscossione statale che con le sue ingiunzioni più di tutte sta facendo pagare agli italiani le conseguenze di questa crisi. A Fiesole gli indignati fiorentini hanno contestato aspramente il presidente del Consiglio europeo Van Rampuy, mentre a Milano si sono stesi sull’asfalto di fronte agli uffici del Parlamento europeo del capoluogo lombardo, tracciando con la vernice le sagome di quelle che hanno definito “vittime dell’austerity”.

Una protesta anticapitalista che non individua nell’eventualità del governo tecnico il male minore e che rifiuta in toto quella che a tutti gli effetti potrebbe essere la definitiva affermazione dell’elite finanziaria sulla sovranità statale. Vedono il probabile governo Monti come uno svuotamento irreversibile della democrazia, con un tecnocrate assolutamente inserito nella cricca dei reprobi della finanza il cui compito sarà quello di calare dall’alto provvedimenti atti solo ad assecondare i mercati e a scaricare sui cittadini il costo della crisi delle banche. Temono che tra le misure imminenti ci sia la privatizzazione di quei beni comuni messi in salvo dai referendum di maggio, invocano il diritto all’insolvenza e, dopo quanto successo ad Oakland, puntano sullo sciopero precario e generalizzato per dare visibilità al dramma della disoccupazione e dei lavori “a gratis”.

Chiedono di salvare l’istruzione e non il sistema bancario, inneggiano al default. Puntano sulle occupazioni delle scuole e degli spazi in disuso dei comuni per dare riparo alle assemblee - ormai permanenti - che cercano di discutere sulle forme di mobilitazione, che provano a creare dal basso delle alternative efficaci a combattere la crisi, senza toccare il welfare e la già ristretta possibilità di entrata (o permanenza) nel mondo del lavoro.

Dopo il 15 ottobre si sono ripromessi di non cedere alla tentazione distruttiva e di portare avanti le loro ragioni con pratiche differenziate e creative. Come quella di Santa Insolvenza, figlia dell’area disobbediente bolognese e interpretata dal trans Valerie, che vestita di banconote false organizza processioni contro il debito e utilizza il megafono umano messo a punto a Zuccotti Park per far recitare le sue preghiere anti-austerity.

Quanti ieri si sono recati nelle piazze delle città italiane rifiutano di credere che la soluzione a questo momento esiziale sia la caduta di Berlusconi. Informati su quanto giù successo in Grecia e altrove, sono ormai consapevoli che questa “dipartita” è dovuta alla “morbidezza” con cui l’ormai ex Esecutivo ha affrontato i richiami della BCE. Che Berlusconi è stato disarcionato non tanto per la sua inadeguatezza ad affrontare la crisi economica, quanto perché troppo politicamente debole per attuare la macelleria sociale che i mercati e l’elite neoliberista chiedono per ripianare i debiti dell’Italia.

I ragazzi, i precari, i ricercatori e tutta quella galassia di svantaggiati che si riconosce nel 99% soverchiato e oppresso dall’1% non hanno nulla da festeggiare, non vogliono cedere al masochismo del male minore perché sentono che il loro futuro e i loro diritti possono essere cancellati in nome dei bilanci e dei numeri fittizi della finanza. Più che indignati, sembrano proprio incazzati neri e il 17 novembre sono pronti a scendere in piazza di nuovo.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy