di Carlo Musilli

Berlusconi si dimette, ma non molla la presa. Chi festeggia il 12 novembre come nuova festa della Liberazione dovrebbe forse riflettere su quello che il Cavaliere è ancor in grado di fare al nostro Paese. Ormai è certo che a guidare il prossimo Esecutivo sarà il professor Mario Monti, ma dubbi di ben altra importanza rimangono sul tavolo: quale sarà il margine d'azione del nuovo governo? Quanto durerà? Sarà in grado di svolgere il compito per cui è stato nominato, o gli verranno posti dei limiti che ne mineranno l'efficacia?

Alla fine Berlusconi ha garantito l'appoggio al nuovo esecutivo, che con ogni probabilità verrà nominato oggi stesso - dopo le consultazioni del presidente Napolitano - e sarà formato solo da tecnici. Sembra che il Cavaliere abbia cercato di trattare con il neosenatore a vita per la nomina di alcuni ministri e per l'impostazione del programma, ricevendo un secco no come risposta.

Poi però è partito il valzer delle indiscrezioni sui paletti imposti dal Pdl, in particolare dall'area ex An: il governo dovrà avere una durata limitata e prestabilita, dovrà limitarsi a varare i provvedimenti contenuti nella lettera all'Europa (quindi niente riforma elettorale) e i suoi componenti non dovranno candidarsi alle successive elezioni. Il nodo di cui più si è discusso è però quello relativo a Gianni Letta: molti berluscones lo vorrebbero vicepremier, per mantenere comunque un indirizzo politico. Ma pare che lo stesso Berlusconi sia poco convinto da questa soluzione, soprattutto perché non verrebbe mai accettata dalle opposizioni (che infatti hanno subito urlato il proprio niet).

Il voto dei pidiellini rimane appeso a un filo, come quello dei deputati Idv. Il partito di Antonio Di Pietro aveva tentato di schiacciare sull'acceleratore della demagogia sostenendo ciecamente la causa delle elezioni anticipate, ma ben presto si è accorto di aver sbagliato direzione. Gran parte dei suoi stessi militanti ha capito che indire in questo momento una campagna elettorale vorrebbe dire gettare l'Italia in pasto ai mercati e farla sbranare a pezzo a pezzo dagli speculatori. Non ci è voluto molto perché l'ex magistrato si riducesse a più miti consigli e specificasse che semplicemente non può garantire "una fiducia al buio".

Certezze granitiche arrivano invece dalla Lega, che si collocherà all'opposizione. Lo hanno confermato gli ex ministri Maroni e Calderoli nell'ultima riunione con il premier dimissionario. Umberto Bossi ha spiegato che il Carroccio non può sostenere Monti, un uomo che vuole "privatizzare le municipalizzate". Ma la verità sembra essere un'altra: le camicie verdi hanno un bisogno disperato di ricompattare il partito e di ricucire il rapporto con la base. Rifiutando di assumersi qualsiasi responsabilità in tempo di crisi, i leghisti puntano a diventare i paladini degli scontenti (e ce ne saranno molti se il professore farà bene il suo lavoro), riuscendo magari a drenare parte dei voti persi dal Pdl.

Che questo significhi rottura definitiva o meno, è evidente che Berlusconi continuerà ad avere dalla sua parte gli uomini del Senatùr ogni qualvolta intenderà votare contro il nuovo Governo. E perciò può ancora permettersi di gonfiare il petto: "Siamo in grado di staccare la spina come e quando vogliamo", avrebbe detto al termine dell'ultima riunione con i suoi a Palazzo Grazioli, poco prima di salire al Quirinale per rimettere il mandato.

Era chiaramente un bluff, visto che la maggioranza alla Camera non esiste più. Ma quando arrivano dal Cavaliere anche i bluff non vanno presi sottogamba. Se ne sono accorti anche Idv e Terzo Polo, che nel corso dell'ultima votazione a Montecitorio sul Ddl Stabilità (approvato in via definitiva con 379 voti a favore, 26 contrari e 2 astenuti) si sono espressi a favore di un testo che non hanno contribuito a scrivere.

L’hanno fatto per alzare una cortina di fumo sui numeri alla Camera. Confondendo i propri voti con quelli della maggioranza, i due partiti d'opposizione hanno evitato che il governo ormai moribondo dimostrasse di poter tornare sopra la fatidica quota 308 (con maggioranza assoluta a 316). Quella era la soglia raggiunta nel voto sul Rendiconto, che ha segnato il tracollo finale del vecchio esecutivo.

L'espediente ha avuto una sua efficacia, ma non è bastato a fiaccare l'animo Berlusconi, che reclama sempre e comunque di avere i numeri per condizionare le sorti dell'Italia. In effetti, almeno al Senato è così. Ma anche nell'Aula di Montecitorio non è assolutamente scontato che i lavori del nuovo governo fileranno via senza alcun incidente. E' quantomeno avventato supporre che tutti i pidiellini redenti terranno fede alla loro conversione senza mai vacillare. I nuovi ministri saranno pure dei tecnici bocconiani, ma i deputati che siedono intorno a loro sono gli stessi che abbiamo eletto nel 2008. E ormai li conosciamo.

 

 

 

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