di Rosa Ana De Santis

La protesta invade tutto il paese e i numeri ne sono la testimonianza. Ventimila manifestanti a Roma, 10.000 a Milano ed altrettanti a Bologna: 5.000 a Napoli e a Firenze, 2.000 a Torino, 1.000 a Lecce. Nelle piazze dell’Emilia-Romagna si è arrivati a 120 mila persone. Adesione media allo sciopero del 58%: è indubbiamente la Cgil la madrina dell’indignazione.

Il corteo dei sindacati di base si è invece trasformato in un presidio permanente a Piazza Navona. Il discorso conclusivo del segretario Cgil, Camusso, ha colpito duramente i cugini “Cisl e Uil”, il Ministro Sacconi e ha condannato in modo particolare l’articolo 8 della manovra che cancella di fatto l’art.18 e lo Statuto dei lavoratori,  che prevede la licenziabilità in deroga ai contratti nazionali se c'è intesa con le organizzazioni sindacali aziendali.

In tempo di crisi anche la scelta dello sciopero diventa difficile, ma rinunciarvi, come i sindacati governativi (Bonanni lo aveva definito “demenziale”) e l’Udc avevano suggerito, equivale ad abdicare completamente alla difesa dei propri diritti, dandoli in pasto ad una manovra che ci mette in coda a tutta l’Europa e che colpisce proprio il mondo del lavoro.

La presenza massiccia dei lavoratori della “conoscenza”, di tante famiglie comuni, di giovani, operai e stranieri, esprime con forza un disagio che è oltre la conflittualità politica che mai invece, come nella giornata dello sciopero generale, si percepiva distante. La sensazione diffusa è quella di una stanchezza ormai cronica della società ad una crisi che è stata prima negata e poi scaricata sulle spalle del mondo del lavoro, iniziando con un modello FIAT che, dalla piazza di Palermo, il segretario della FIOM Landini continua a denunciare come l’inganno di tutta la filosofia di questa manovra.

L’irresponsabilità del governo di fronte all’impoverimento del Paese, la cassa estorta dalle pensioni, dal soffocamento dei diritti dei giovani e non dai privilegi, è l’apice di un esecutivo che ha dei piani chiari, ma che non ha più consenso popolare. La manovra che cambia di giorno in giorno ha peraltro mostrato gli altarini delle divisioni interne alla maggioranza, lasciando alla Lega, pensa un po’, il compito di far finta di difendere enti locali e società.

Non sono mancati momenti di tensione con le forze dell’ordine. Fumogeni, uova e vernice il prontuario solito. Otto poliziotti feriti a Napoli per il lancio di petardi. A qualcuno sarebbe piaciuto titolare di saccheggi e violenza, ma non è successo. Soprattutto giovani quelli che lamentavano lungo il percorso del corteo l’incapacità quasi storica degli italiani a ribellarsi, ad essere “indignati” come lo sono i ragazzi in tanti altri paesi d’Europa. Un vizio storico e una letargia della vera passione politica.

Alle 18, mentre i pullman portano i manifestanti a casa, mentre il traffico e i mezzi pubblici stanno tornando alla normalità, una seduta urgente del Consiglio dei Ministri annuncia gli ennesimi due cambiamenti della manovra. Aumento dell’IVA al 21% e supertassa per i ricchi, ma solo sopra i 500mila euro. Ci si prepara così alla fiducia. Lasciando intatto il resto e lasciando soli i lavoratori nelle loro aziende. Gli stessi che oggi erano in piazza. Tanti, tantissimi, ma soli di fronte alla crisi e al superpotere di chi può toglier loro ogni diritto con il ricatto del bisogno. La giornata della grande protesta è finita con un successo, in beffa ai numeri sottostimati della questura e ai profeti dei media. O forse, come i più ottimisti annunciano e i più giovani sognano, deve ancora arrivare. 

 

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