di Carlo Musilli

Pensavano di aver chiuso i conti a luglio e di poter andare in vacanza tranquilli. Ma si sbagliavano. In questo strano agosto, ministri e onorevoli devono rimettersi al lavoro per battere cassa. La macelleria che avevano previsto nella manovra finanziaria approvata il mese scorso non basta più: devono trovare il modo di racimolare altri 20 miliardi nei prossimi due anni. E' questo il prezzo aggiuntivo che dobbiamo pagare per essere salvati dalla tagliola della speculazione.

Da venerdì l'Italia è ufficialmente commissariata. Per evitare che i mercati, continuando a scommettere contro di noi, ci mettano nelle condizioni di non poter più finanziare il nostro pantagruelico debito pubblico (cosa che scatenerebbe un effetto domino distruttivo in Europa), la Bce ha preso in mano le redini. Lo ha fatto con una misteriosa lettera firmata da Jean Claude Trichet, attuale presidente all'Eurotower, e Mario Draghi, suo prossimo successore. Il pressing più insistente in questa direzione è arrivato da Nicolas Sarkozy, terrorizzato all'idea di un nostro default, dal momento che che la Francia ha in tasca una fetta enorme del nostro debito. La Casa Bianca ha dato subito il suo appoggio. Più difficile è stato convincere Angela Merkel, perché la Germania, in quanto prima economia europea, sarà il Paese che dovrà pagare di più per correggere gli errori italiani. Per fortuna, alla fine anche la cancelliera ha dato il suo fondamentale placet.

Gli effetti di queste manovre si sono visti nella conferenza stampa straordinaria (e per la verità un po' goffa) tenuta venerdì sera da Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi. Su ordine di Francoforte sono state annunciate nuove misure che il Governo italiano metterà in campo per combattere la crisi finanziaria. In cambio dell'obbedienza, la Bce ha iniziato a comprare sul mercato secondario i nostri titoli di Stato. Una mossa inaudita, che non rientrerebbe nemmeno nelle responsabilità dell'Eurotower (sarebbe infatti compito del Fesf, il fondo europeo di stabilizzazione finanziaria, che tuttavia non ha ancora i capitali sufficienti). Una mossa che però ha spento l'incendio a Piazza Affari e soprattutto ha consentito al nostro spread di scendere nuovamente sotto la soglia psicologica dei 300 punti base (solo venerdì scorso era schizzato ad oltre 400).

Ma torniamo agli impegni che abbiamo dovuto prendere per meritarci un trattamento del genere. Li hanno chiamati "i quattro pilastri", ma in realtà il pilastro è uno solo. Sorvolando sulla riforma del lavoro (di cui ancora non si sa nulla) e sulle modifiche alla Costituzione (che ad essere ottimisti richiederanno almeno nove mesi di lavoro), il punto più importante è l'anticipo del pareggio di bilancio dal 2014 al 2013. Non si tratterà banalmente di far retrocedere di un anno i provvedimenti stabiliti della manovra. Bisognerà farli combaciare con i tagli già previsti dal decreto 78 del 2010, che ricadono sul biennio 2011-2012. E, soprattutto, sarà necessario trovare quei famosi soldi in più. Come fare? Un vero rompicapo, che pone almeno due problemi fondamentali.

Il primo, quello più scontato, è di natura tecnica. Considerando che gli Enti locali sono già allo stremo delle forze, sembra proprio che le mosse decisive della partita si giocheranno principalmente sul terreno della previdenza. Ad appena un mese dalla chiusura delle ultime diatribe si torna così a parlare di interventi assai impopolari: dal blocco delle pensioni d'anzianità all'innalzamento dell'età pensionabile per le donne nel settore privato, fino al taglio degli assegni di reversibilità in favore di coniugi e figli. Per quanto riguarda l'adeguamento alle aspettative di vita dell'età necessaria per raggiungere la pensione, potrebbe essere anticipato dal 2013 al 2012.

Di fronte a prospettive di questo tipo i tre sindacati confederali hanno già alzato un muro. Eppure sembra che il governo rimanga fiducioso. Le parti sociali potrebbero infatti digerire i nuovi interventi sulle pensioni se sull'altro piatto della bilancia vedranno materializzarsi i tanto sospirati provvedimenti contro i privilegi della casta. Non si parla solo dei tagli alla politica e alla burocrazia, che hanno un significato indiscutibile ma non sono in grado di smuovere grandi numeri. Tornano sul tavolo dei negoziati anche altre misure, tenute nel cassetto ormai da troppo tempo: su tutte la tassazione dei grandi patrimoni e delle rendite. Ma non è finita. Oltre a cospicui programmi di privatizzazioni e liberalizzazioni, sembra ci sia in ballo anche la resurrezione dell'Ici.

Il secondo problema è forse ancora più intuitivo del primo e certamente richiede meno spiegazioni. Il dubbio è politico. Molti investitori (soprattutto all'estero) faticano ad immaginare in che modo un governo screditato e debole come il nostro possa trovare la forza di imporre al Paese un periodo inevitabile di lacrime e sangue.

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