di Carlo Musilli

E' stato come ascoltare "'O Sole mio" mentre fuori cadeva una pioggia battente. L'altroieri alla Camera il premier Silvio Berlusconi ha parlato della crisi che da settimane sta soffocando la finanza italiana, ma le sue parole non hanno centrato il bersaglio. C'era grande attesa per un intervento che, nelle speranze di tutti, avrebbe dovuto imprimere una sterzata decisa alla direzione imboccata dal Paese. Per giorni si è parlato di nuove misure possibili da mettere sul tavolo così da riacquistare credibilità a livello internazionale e convincere gli investitori a non scommettere più contro di noi. Purtroppo nulla di tutto questo è arrivato. Anzi, il Cavaliere ha rispolverato qualche vecchia frase buona più o meno per ogni momento di buio. Lontano dalla realtà dei fatti, non ha proposto nulla di concreto. E chi si aspettava un cambiamento ha dovuto ripassare il copione degli ultimi dieci anni.


Partiamo dal quadro generale tracciato dal Presidente del Consiglio. E' vero che la crisi che stiamo vivendo ha dimensioni internazionali, che nasce dalle difficoltà di altri Paesi a ripagare il proprio debito ed è alimentata dall'attuale debolezza degli Stati Uniti. E' vero anche che la tempesta in corso è motivata dalla fragilità dell'euro e che proprio la moneta unica è l'obiettivo primo degli speculatori. Tuttavia nessuno può negare che ultimamente sia proprio l'Italia (ancor più della Spagna) nell'occhio del ciclone. La Borsa di Milano è crollata più delle altre in queste settimane e veste con una certa regolarità la maglia nera d'Europa. I nostri titoli di Stato sono senza dubbio alcuno i più bersagliati dalle vendite, tanto che lo spread Btp/Bund si sta a poco a poco avvicinando a quello dei più malandati cugini di Madrid. Di tutto questo si rende perfettamente conto anche il premier, tanto che ha avuto la saggezza di posticipare il suo discorso in Parlamento. Aprire bocca prima della chiusura dei mercati sarebbe stata una roulette russa con poche possibilità di sopravvivenza. Bisognava evitare una reazione a caldo delle Borse.


Ma veniamo alla situazione italiana. Su questo fronte Berlusconi ha ribadito ancora una volta quegli stessi concetti che sentiamo ripetere da quando negli Usa è scoppiata la bolla dei mutui subprime. Le nostre banche sono ben capitalizzate, solide, poco esposte sul fronte finanziario. Mentre le famiglie italiane si distinguono dalla media internazionale per l'alto livello di patrimonializzazione e per lo scarso indebitamento. Tutto vero. Tutto, drammaticamente, già sentito.


Cantare per l'ennesima volta gli stessi ritornelli in un momento del genere, purtroppo, non aiuta l'Italia sui mercati. Non suona come un'affermazione di forza, ma come un tentativo di giustificazione piuttosto goffo, evidentemente insufficiente. La tavola di legno a cui il naufrago si aggrappa quando sente che la corrente sta per tirarlo a fondo.
Ma andiamo avanti. Ammettiamo che la furia degli speculatori non si possa spiegare razionalmente con quello che accade nell'economia reale. Ci deve allora essere un altro motivo per cui i mercati ce l'hanno tanto con noi. Infatti c'è: la politica. Agli occhi degli stranieri non siamo credibili. E' bene chiarire che stiamo parlando sempre di investitori, non dei vertici comunitari, interessati quasi quanto noi a spegnere il fuoco che ci sta bruciando e quindi sempre inclini a regalarci una buona parola.


"Il nostro Paese ha un sistema politico solido", ripete instancabile Berlusconi. Forse qualcuno è ancora disposto a credergli nella Matrix italiana, ma fuori dai confini, nel mondo reale, avranno di certo sorriso. Laggiù vedono solo un Paese che ristagna e che non fa nulla per riattivare la crescita. Vedono un premier coinvolto in quattro processi, un ministro indagato per mafia e un deputato della maggioranza che svolge le sue funzioni pubbliche dal carcere. Il colpo di grazia lo ha dato l'inchiesta su Milanese, che ha gettato una cortina di fumo anche sull'immagine internazionale di Giulio Tremonti, fino a qualche tempo fa considerato totem del rigore e garante della tenuta dei conti. Il tutto condito da una Lega sempre più mina vagante. Nel complesso, il quadro è quello di un carrozzone che stenta a sopravvivere. Mentre ci spertichiamo in odiose litanie sul processo lungo e sui ministeri al nord, in pochi credono davvero che questo Governo possa portare a termine le riforme di cui il Paese avrebbe bisogno.


Uno scenario desolante, un arresto cardiocircolatorio che non attende altro se non il defibrillatore. Per questo il Quirinale aveva fatto pressioni in vista di una svolta e la Banca d'Italia si era perfino spinta a dare dei suggerimenti. Entrambe le istituzioni sono state però deluse dal Cavaliere, che ha parlato per quasi mezz'ora del debito e della crescita senza indicare alcuna strada concreta per cavarci fuori dal pantano. Riorganizzare le province, tagliare le auto blu, varare finalmente il paino per il mezzogiorno. Tutte misure positive, ma molto lontane da quello che servirebbe davvero. Se i mercati non credono che in futuro saremo in grado di ripagare il nostro debito mostruoso, l'unico modo per fargli cambiare idea è iniziare subito a ridurre il rosso delle nostre casse. E per farlo ci sarebbero delle strade: anticipare quelle misure che la manovra scarica sul biennio 2013-2014 (e quindi sul prossimo Governo), mettere in campo una sacrosanta patrimoniale.


Invece niente. Sono mosse inimmaginabili per chi è troppo attaccato alla poltrona e già la sente scottare. Fra calcoli e tatticismi, Berlusconi come sempre si è tenuto alla larga da ogni e qualsiasi autocritica, perdendosi addirittura nell'eco delle vecchie autocelebrazioni. Tutto questo mentre il mondo gli ripete che così non può andare avanti.

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