di Fabrizio Casari

La nuova manovra finanziaria ha ricevuto il nyet dei mercati. Che abbia superato lo stress-test per gli istituti di credito di venerdì scorso è servito a poco. E’ lecito allora ipotizzare che lo stress-test sulle banche sia stato superato sia per la valutazione sulla tenuta degli Istituti di credito che in virtù delle condizioni politiche straordinarie che avevano segnato il passaggio della manovra al Senato: regia del Colle e opposizione responsabile (anche troppo). Ma, finita la sperimentazione dell’emergenza, è tornata la sostanza della manovra e del suo contesto politico e, con esse, anche i rischi per le banche italiane. La speculazione internazionale, certo, ma non solo. I mercati finanziari non si fidano della nuova finanziaria perché, fondamentalmente, non si fidano del governo.

Il motivo è fin troppo evidente: da un lato la manovra si fonda su un solo precetto: non contiene accenni alla crescita e, dunque, è puramente indirizzata sulla riduzione della spesa pubblica senza che questa possa essere, da sola, determinante per il risanamento dei conti. La manovra, infatti, così com’è stata concepita, ha respiro breve ed affannoso, è pura contabilità destinata solo a fare cassa. Una macelleria sociale che non da alcuna indicazione circa la possibilità di far ripartire l’economia; semmai, contiene in sé tutti gli indicatori possibili per un ulteriore depauperamento del tessuto sociale ed economico del Paese.

Ma, più ancora che il merito dei conti, l’elemento di fondo che incide nella valutazione negativa che la Borsa ha voluto esprimere ieri è il giudizio severissimo sul governo, sulla sua capacità di tenuta sia come compagine politica che, ancor più, sulla capacità di gestire la fiducia degli italiani. C’è infatti un elemento indiscutibilmente necessario per una politica economica che preveda rigore dei conti e rilancio dello sviluppo: un governo forte ed autorevole che la ispira. E qualunque manovra che, addirittura, cancelli il rilancio e preveda solo (e male) il rigore, a maggior ragione dev’essere gestita da un Esecutivo e da un establishment forte e in grado di raccogliere il consenso popolare.

Ebbene, nulla di tutto ciò è ascrivibile all’Italia di oggi. Quella che i mercati leggono in profondità, infatti, è la definitiva crisi di credibilità, autorevolezza e consenso del governo, premier in testa. Non si tratta solo e soltanto dell’accavallarsi di ogni tipo di scandali - pure ormai irrefrenabili, come sempre quando si scoperchia la pentola di un regime - quanto della percezione evidente del “rompete le righe” politico che risulta evidente dalle spinte centrifughe che vengono da ogni piega della maggioranza. E’ ormai il tutti contro tutti, il free for all della rissa di governo.

E del resto, azionisti e risparmiatori, hanno un convincimento comune: l’Italia rischia d’affondare se non trova le energie e le idee per ripartire. Energie e idee di cui però, nella finanziaria, non c’è traccia. Si prosegue invece con la logica fin qui seguita e fin qui dimostratasi fallimentare. Qui sta il giudizio negativo sulla manovra e sullo stesso governo. Nessuna manovra economica che aspiri ad avere successo può limitarsi a proseguire con ulteriore e maggiore ferocia sociale le fallimentari politiche economiche del governo Berlusconi. Nessun investitore può scommettere su un paese che appare piegato e piagato, con una classe imprenditoriale inetta ed un governo alla deriva.

La mancanza totale di fiducia degli italiani nel governo, giunta puntualmente con l’apertura delle urne nelle recenti consultazioni amministrative e referendarie, racconta meglio di ogni altro report la fine dell’illusionismo collettivo e si erge invece a sentenza inappellabile circa il bisogno di una nuova fase politica e di governo.

C’è, più in generale, la consapevolezza della fine del regime berlusconiano, dello scollamento evidente tra il blocco sociale che ha consentito negli ultimi diciassette anni d’imbrigliare e imbrogliare il Paese con la favola del buon governo. La metafora poco felice del Titanic con la quale Tremonti ha affrescato alla sua maniera la situazione economica (ci vuole coraggio a chiedere d’investire su una nave che s’inabisserà…) è stata invece ribaltata proprio sul governo, che vede le sue componenti scannarsi per un posto sulle scialuppe di salvataggio. Ma fanno acqua persino quelle. Meglio sbrigarsi a trovare una nave più affidabile, dicono in Borsa; meglio trovarne una decisamente alternativa, dicono le vittime del governo e delle borse.

 

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