di Carlo Musilli

Da venerdì la manovra è legge. E da domani inizieremo a pagare, senza nemmeno la speranza di nuove prospettive. La legge approvata dal Parlamento non risolverà nessuno dei nostri problemi per due ragioni: non contiene alcuna misura che favorisca la crescita delle imprese e non fa nulla per ridare fiato all'occupazione. Invece di stimolare la domanda, le assesta il colpo di grazia, accanendosi sui ceti medio-bassi ed evitando accuratamente di toccare i grandi patrimoni.

Come da copione, il ragioniere armato di machete che guida la nostra economia ha previsto solo un'accozzaglia di tagli orizzontali e nuove imposte. Non ha alcun interesse per le politiche industriali e sociali, il suo unico è obiettivo è battere cassa per far tornare i conti nel breve periodo. Eppure il via libera alla manovra è arrivato a tempi di record: appena quattro giorni per tutti i passaggi parlamentari. Un "miracolo" - come l'ha definito Napolitano - che si spiega solo guardando al quadro d'insieme. Tutte le forze politiche, anche quelle d'opposizione, hanno scelto la filosofia del male minore per tirare fuori l'Italia dal pantano in cui si è trovata nelle ultime settimane.

In sostanza, si trattava di rassicurare i mercati per allontanare gli avvoltoi della speculazione. L'attacco che la settimana scorsa ha colpito la finanza italiana non ha affossato solo le azioni di Piazza Affari, ma anche le obbligazioni sul nostro debito pubblico. Lo spread fra Btp e Bund è schizzato oltre ogni soglia immaginabile. Questo significa che adesso lo Stato deve pagare un interesse altissimo (il 5,90%) per convincere gli investitori a comprare i titoli italiani invece di quelli tedeschi, i più solidi al mondo.

C'è poi la questione delle mefistofeliche agenzie di rating americane. Il Governo aveva urgenza di scongiurare il declassamento minacciato per il prossimo autunno. Bisognava dimostrare che l'Italia non è la Grecia ed avrebbe la forza per resistere al contagio della crisi debitoria che potrebbe diffondersi fra i Paesi periferici dell'eurozona. Per queste ragioni la manovra punta all'azzeramento del deficit nel 2014. Una volta raggiunto quest’obiettivo, "scatterà anche la riduzione automatica del debito", assicura Tremonti. Peccato che al momento il debito sia ancora fuori controllo. Proprio ieri ha segnato il nuovo record storico a quota 1.897 miliardi.

Ora, tanto per sottolineare la competenza dei nostri amministratori, vale la pena ricordare che i saldi previsti dalle prime bozze di manovra non erano assolutamente sufficienti per arrivare al pareggio di bilancio in tre anni e mezzo. Il primo ad accorgersene è stato il Quirinale. Risultato: in zona Cesarini il Governo ha rivoluzionato l'importo complessivo della legge (portandolo da 47 a circa 87 miliardi, di cui 70 solo nel biennio 2013-2014, in modo da scaricare il barile sul prossimo Esecutivo). Ed ecco spuntare una serie di nuove misure assassine.

La più pesante è quella che prevede tagli lineari ai bonus fiscali. Le detrazioni vengono sforbiciate del 5% nel 2013 e del 20% nel 2014, per un aumento della pressione fiscale pari all'1,2%. Una vera stangata per le famiglie, che vedranno aumentare le spese mediche, quelle per l'istruzione, gli asili nido e le ristrutturazioni edilizie. La bastonata colpirà soprattutto gli italiani con redditi medio bassi, che pagheranno quasi il doppio di quelli abbienti (620 euro contro 364). Questo per un principio elementare: più si è ricchi, meno sono le detrazioni a cui si ha diritto.

La stretta non verrà applicata soltanto se entro il 30 settembre 2013 sarà esercitata la delega per la riforma fiscale e assistenziale, che tuttavia scaricherebbe i tagli sulle prestazioni sociali. Niente male, considerando che da 17 anni Berlusconi usa lo slogan "Abbasseremo le tasse!" come urlo di battaglia.

Di fronte a tanto, perfino Bankitalia ha indossato i panni di Robin Hood: "Occorre limitare il ricorso a aumenti del prelievo", si legge nell'ultimo rapporto economico dell'istituto. Tutelare la domanda è fondamentale soprattutto in questa fase, perché il Paese cresce a un ritmo decisamente troppo lento. Secondo le previsioni della Banca Centrale, il Pil aumenterà solo dell'1% quest'anno e dell'1,1% nel 2012.

Ironia del destino, tutte queste belle notizie sono arrivate in concomitanza con la pubblicazione del nuovo rapporto Istat sulla povertà. Dallo studio emerge che gli italiani poveri (quelli che vivono con meno di mille euro al mese per due persone) sono il 13,8% del totale, più di otto milioni di persone. I poveri "assoluti" invece (quelli che non mettono insieme il pranzo con la cena) sono altri tre milioni.

Fin qui l'Italia, ora veniamo al Parlamento. Come per magia, nelle ultime ore di taglia e cuci, dalla manovra sono praticamente scomparsi i tagli alla politica. Addio alla riduzione da 82 milioni sugli stipendi agli onorevoli, si salvano invece vitalizi e indennità. I rimborsi elettorali diminuiranno, ma solo dalla prossima legislatura, mentre i finanziamenti ai partiti sono calati di un ridicolo 10%.

Difficile consolarsi col taglio alla cilindrata delle auto blu. Che la casta abbia deciso di autoassolversi non stupisce nessuno. E' invece sorprendente che a chiedere con maggior forza il taglio ai costi del Palazzo sia stata Confindustria. Pura demagogia, naturalmente, ma il fatto in sé la dice lunga sullo stato catatonico che perseguita l'opposizione.

A ben vedere, dalle cronache degli ultimi giorni si ricava una rappresentazione efficace del modo in cui è governato il nostro Paese. Un caso esemplare è quello che riguarda la liberalizzazione degli ordini professionali. La norma doveva essere inclusa nella manovra, ma fra i corridoi del Senato è sopravvissuta appena cinque ore. Avvocati e notai del Pdl si sono prodotti in un ammutinamento che avrebbe fatto impallidire l'equipaggio del Bounty. Pur di respingere l'attacco alla loro corporazione, non ci hanno pensato due volte a minacciare i loro compagni di partito: "O ritirate la norma, oppure non voteremo la fiducia sulla manovra". Erano disposti a sacrificare il provvedimento che dovrebbe salvare l'Italia sull'altare dei loro privilegi. Veri uomini di Stato.

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