di Fabrizio Casari

Per farsi un’idea dello stato di coma in cui versa l’etica pubblica nel nostro Paese, è sufficiente vedere la trattazione generale della sentenza della Corte D’Appello che ha condannato la Fininvest a pagare oltre 560 milioni alla Cir di Carlo De Benedetti. Lo schieramento berlusconiano, come pure una parte di quello del centrosinistra, hanno incrociato le lame solo circa l’obbligatorietà o meno del pagamento immediato e delle eventuali conseguenze che potrebbero derivarne.

E quindi via alle danze: deve pagare subito, dice qualcuno; no, solo dopo il pronunciamento della Cassazione a seguito del ricorso Fininvest, dicono altri. Che i giudici potessero già da ora sospendere l'esecutività del provvedimento ma che hanno scelto di non farlo pare essere un dettaglio, come pure la distinzione tra reo e vittima.

In qualche modo accumunati dal fatto di essere due uomini d'indubbia ricchezza - al punto che pagare o incassare la cifra sembrerebbe essere un esclusivo elemento di princicipio - entrambi si trovano al centro di rocambolesche quanto indecenti ricostruzioni della vicenda che invece é limpida. Non pare destare peraltro interesse per nessuno il fatto che l’Ingegner De Benedetti sia la vittima dello scippo perpetrato grazie alla corruzione e che attende da molti anni vedersi riconosciuti i propri diritti e rimborsato quanto illecitamente sottratto.

Ma sfugge ai più il dato eclatante della vicenda: e cioè che la Corte D’Appello, come già quella d’Assise, hanno affermato che l’attuale Presidente del Consiglio ha ordinato ad un suo avvocato (poi da lui nominato ministro della Giustizia!) di corrompere un giudice (utilizzando fondi neri) per assicurarsi un verdetto favorevole in un processo.

Il fatto che Berlusconi, diversamente da Previti e dal giudice Metta, non sia stato condannato, dipende solo dal fatto che gli vennero riconosciute le attenuanti generiche nella condanna e che queste, riducendo l’ammontare della pena, l’abbiano fatta rientrare nella prescrizione successivamente intervenuta. E la domanda del giorno è dunque questa: in quale Paese al mondo un Premier potrebbe rimanere al governo?

Ma non è tutto. La sentenza sul Lodo Mondadori racconta con chiarezza anche come e attraverso quali mezzi l’imprenditore Silvio Berlusconi abbia trasformato le sue aziende in un impero mediatico. E, ciò che a tutti é noto, é come poi, grazie anche al suddetto impero mediatico, abbia costruito la sua fortuna politica.

La pretesa di trovare ora l’ennesima norma “ad personam” (magari infilandola di soppiatto nella manovra finanziare da sottoporre alla fiducia delle Camere), che dovrebbe obbligare i giudici a bloccare il risarcimento alla Cir di De Benedetti, indica come nessun segnale di giustizia e, prima ancora, d’opportunità politica, possa increspare il gigantesco conflitto d’interessi del premier.

L’Italia, dal suo punto di vista, è nulla se messa in contrasto con le sue aziende. Del resto, per questo era entrato in politica, per salvare le sue aziende che affogavano nei debiti e rilanciarle con le buone o con le cattive, per trasformare la sua “roba” in interesse nazionale e portare l’interesse nazionale a divenire una variabile dei suoi conti privati.

Ma, come si diceva, l’importanza assoluta che la sentenza sul Lodo Mondadori offre all’attenzione dei meno acuti sta proprio nell’indicare il percorso imprenditoriale e politico attraverso il quale Berlusconi è passato da imprenditore relativamente ricco a padrone assoluto dell’Italia. Il consenso di cui gode Silvio Berlusconi, infatti, è dato anche dal controllo dei mezzi di comunicazione di massa.

Non solo le televisioni, ormai tutte sotto il suo controllo, alcune attraverso la diretta proprietà, altre con la direzione delle reti, altre ancora tramite la raccolta pubblicitaria. Lo stesso vale per i giornali quotidiani e per le riviste settimanali a larga diffusione, per le case editrici e per le stesse radio, alcune di sua proprietà e altre controllate tramite la pubblicità.

In sostanza, Berlusconi controlla a suo piacimento il mercato della circolazione delle idee ed esalta o minimizza, secondo le sue convenienze, i fatti che lo riguardano. Insomma, quasi tutto ciò che si vede, si sente e si legge è sotto il suo controllo: quindi, tutto ciò che serve a intrattenere, a informare e a formare, risponde alla voce e agli interessi del padrone. E per i giornalisti che volessero tenere la testa alta, almeno quelli che non lavorano in realtà circoscritte, quali sarebbero gli spazi editoriali a disposizione dove poter lavorare se non quelli che le spire del Biscione offrono?

La sentenza del lodo Mondadori ha ora messo nero su bianco quanto già tutti sapevano: la vicenda personale di Berlusconi è una delle pagine più torbide della storia italiana dal dopoguerra ad oggi. Ad eccezione della legalità, nulla è stato risparmiato. Nessuna sua iniziativa, imprenditoriale, politica e personale, ha saputo dipanarsi senza violare ogni tipo di legge. E la sintesi della sua stagione politica é risultata essere, in sostanza, la difesa di quanto fatto da imprenditore prima e da politico poi, la crescita delle sue aziende, la pretesa d'immunità totale.

Ma il paese non può più essere tenuto in pugno da un aspirante sultano che tutto compra e tutto vende nelle forme e nei modi che sappiamo. Perché questa è la sua vera quintessenza che emerge tratteggiata dalla sentenza sul Lodo Mondadori: la sua “roba” e il suo denaro sono la ragione della sua vita. Incapace di sedurre, acquista. Incapace di essere, si dispera per avere. L’uomo qualunque ha il terrore di diventare uno qualunque.

 

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