di Rosa Ana De Santis

Torna alla Camera l’esame del disegno di legge sul testamento biologico. La votazione sarà ad aprile e il dibattito parlamentare torna ad animarsi di analisi e polemiche che, mai come in questo caso, rafforzano divisioni e conflitti morali, soprattutto in virtù del modo inadeguato con cui la politica italiana e le Istituzioni si misurano con le grandi questioni morali ed etiche. Il ddl Calabrò, il testo della maggioranza che il Sottosegretario Roccella ha definito una legge di libertà senza “derive eutanasiche”, ha conquistato quasi 600 emendamenti nel suo corso di dibattito parlamentare.

Il nodo centrale della questione, rivendicato dalle opposizioni, è introdurre nella dichiarazione anticipata di trattamento sanitario sulla fine della propria vita, la possibilità di rifiutare alimentazione e idratazione forzate che, anche alla persona meno erudita risultano essere, su un corpo inerte che versa in uno stato vegetativo persistente cronico, un accanimento inutile e senza speranza.

Ma il tema fondamentale, prima di essere di ordine medico-clinico, attiene ai diritti fondamentali individuali e alla libertà insopprimibile che ciascuno rivendica ed esercita sul proprio corpo e sulla propria esistenza. Quello che dovrebbe essere, così ci hanno insegnato a scuola, un assioma incontrovertibile di ogni democrazia liberale.

Ancora più caotica, ma utile all’analisi delle varie posizioni la terza via rutelliana, nata in corso di dibattito generale, che ribadisce come alimentazione e idratazione forzata siano sostegno vitale e non cure da poter sospendere, ma come - ed è questo il passaggio più degno di nota - nella fase terminale il medico e il fiduciario possano prevederne la sospensione. Un testo che lascia intravedere come persino nelle file di chi s’ispira esplicitamente alla tradizione religiosa di questo paese si avverta la necessità di adottare, se pur timidamente, un metodo laico e liberale di trattare le questioni etiche che riguardano la vita di tutti i cittadini.  Anche dei non credenti, si suppone.

Sugli argomenti vince però la propaganda e la retorica della vita ad ogni costo, l’interpretazione più oscurantista del cattolicesimo e, soprattutto, la pericolosissima idea che sul singolo e sulla sua volontà, anche quando costui prende decisioni che riguardano solo se stesso e che non hanno ricadute di danno o vantaggio per gli altri, sia un Autorità a dover decidere per lui o su di lui. Lo Stato diventa in questo modo uno Stato Etico, un alter ego della Chiesa che s’intromette nella vita individuale e codifica nella legge il modo in cui ciascuno è legittimato a morire, e quindi anche a vivere. Con tutte le implicazioni normative che la trasgressione della norma esige su medici e familiari coinvolti.

Il caso Englaro, che ha avuto il coraggio e il merito di sdoganare nel dibattito generale una questione sommersa di cui la politica si era sempre disinteressata, ha portato dai tribunali al Parlamento l’urgenza di legiferare sulla fine della vita, mostrando però come la politica arranchi su quello che, Costituzione alla mano, i tribunali hanno riconosciuto pienamente a Beppino Englaro. Questa la legge che desiderano le opposizioni e, molto probabilmente, la società civile: una legge semplice che riconosca ad ogni persona l’autorità di esprimere una scelta vincolante sulla propria vita che sia rispettata da medici, familiari e personale sanitario.

La violenza dell’imposizione covata dalla legge nasconde altro però, ancor più intollerabile dei suoi formali presupposti. Si tratta della finzione della cosiddetta “difesa della vita”, che nasconde obiettivi più spiccioli e più biechi. In primo luogo perché non è visibilmente questo il governo della rettitudine cattolica e dell’ortodossia morale, mentre siamo invece alle prese con un chiaro scambio che l’Esecutivo offre alla Chiesa per ottenere indulgenza plenaria per il Presidente del Consiglio.

Un perdono che pagheranno caro tutti i cittadini che non potranno mai più scegliere di rifiutare per anni un tubo naso gastrico infilato a forza nell’addome e una condizione di esistenza vegetale come quella di Eluana, che sarà semplicemente obbligatoria per tutti.

Tanto è vero questo che persino alcuni religiosi, soprattutto quelli che si sono scatenati contro i festini di Arcore e le indecenze erotiche e di corruttela del premier, mostrano più indulgenza e più riguardo per i cittadini e la loro comprensione del problema di quanto non siano la Roccella e i suoi fans, così  tanto accorati a difendere la vita e la dignità delle persone da aver accettato, con il famoso Milleproroghe, che i fondi destinati ai malati terminali oncologici e alle loro cure palliative servissero a pagare le multe del latte degli allevatori padani.

Questa la denuncia di fuoco che arriva dalla Vicepresidente dei deputati del PD, Rosa Villecco Calipari. A questo orrore, che toglie ogni credibilità al governo e ai suoi profeti della vita, dovrebbero rispondere i paladini del testo Calabrò ed i cattolici di ogni parte politica che lo hanno condiviso. Se c’era un valido argomento politico per impedire le derive eutanasiche e blindare il disegno di legge non doveva essere proprio questo? L’aiuto dello Stato a chi vive condizioni estreme di sofferenza cronica senza speranza?  Invece no. Si preferisce aiutare l’elettorato leghista e condannare i malati terminali a non poter decidere di morire e a rimanere in una condizione della quale lo Stato ora non ha i soldi di occuparsi. Un capolavoro di ributtante ipocrisia.

La stessa con la quale tutti fanno finta di non sapere che avviene già, in moltissime case e forse persino negli Hospice preposti, che le persone che soffrono vengano risparmiate al proseguo feroce dell’agonia e, con tanta morfina, vengano accompagnate a “morire dolcemente”, addormentandosi. Come si chiama quest’alleanza di pazienti, medici e familiari? Fine dell’accanimento terapeutico, suicidio assistito, eutanasia? O più semplicemente si chiama pietà? Quella sacra nobiltà dei sentimenti umani che la follia di questa legge sta togliendo ad ognuno di noi. Sanno tutti, governo in primis, che la loro legge non verrà applicata. Perché nella cittadinanza vissuta, nelle relazioni familiari esistenti, il baratto tra indulgenza primaria dei preti e amore per le persone non ha luogo, non può averne.

 

 

 

 

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