di Rosa Ana De Santis

Sono morti domenica sera, sotto le scintille di un tizzone dimenticato dai genitori. Quattro bambini, fratellini gitani, hanno perso la vita nelle lamiere infuocate della loro baracca. Avevamo capito che l’impegno della Giunta Capitolina contro gli insediamenti abusivi sarebbe stato l’assoluta priorità. Questo avevano titolato i giornali sotto le foto delle ruspe che avevano iniziato ad ingoiarsi il Casilino 900.

Poi arriva l’ ennesima tragedia, il veloce vertice tra il sindaco Alemanno e l’assessore Belviso alle Politiche Sociali e l’annuncio dello sgombero immediato di questo insediamento sull’Appia Nuova. Il solito metodo, se così è possibile definirlo, dell’azione post emergenza e del ritardo con cui la nostra politica e le istituzioni preposte arrivano sulle grandi questioni che contraddistinguono la civiltà di un paese.

Il Piano Nomadi, su cui sono piovuti tantissimi fondi e su cui si è concentrata la peggiore voce della propaganda di destra, ad oggi non ha portato alcun risultato difendibile. Di fronte alla tragedia degli innocenti c’è chi rivendica una linea ancora più dura, come se l’espulsione coatta dei rom, la chiusura dei campi senza alternative, la deportazione delle famiglie e dei bambini costretti a cambiare infinite volte scuole e comunità, avesse portato a scongiurare pagine vergognose di cronaca come quella di questo ultimo rogo.

Il giorno del lutto è soprattutto il giorno della responsabilità e dell’incapacità politica: la propaganda che ha parlato alla pancia della gente, accatastando voti, senza alcun programma strategico e senza alcun piano per il futuro, ha seminato altre vittime. Non c’è bisogno di andare troppo lontano per ispirarsi e modelli politici efficaci. Basterebbe prendere esempio da quanto accaduto in Emilia-Romagna, tra Bologna e altre città, in cui molti campi sono stati abbandonati per le case: l’unico modo per scongiurare le tragedie del fuoco o il mantenimento di tante altre condizioni disumane. Le famiglie beneficiarie pagano il 50% dell’affitto e per molte di queste si è innescato un vero e progressivo processo d’integrazione che ha giovato alla sicurezza di tutti.

Il dato più agghiacciante è quello che emerge dalla relazione annuale di Save The Children. Sono i bambini, i minori delle comunità rom, quelli che hanno pagato il prezzo più alto. L’estrema povertà in cui vivono, la schedatura delle loro impronte, i ripetuti sgomberi senza alcun piano di accoglienza, sono tutto quello che una città come Roma e la comunità che si ritiene civile gli ha riservato. Perdendo di vista diritti fondamentali in nome dell’emergenza e offrendo tesi che altro non sono se non rigurgiti di xenofobia. Se dalla baraccopoli passiamo alla tendopoli - sempre temporanee, come proposto dal sindaco - è difficili credere che si vada verso una gestione diversa del problema rom. E’ difficile soprattutto pensare che se queste comunità continueranno a galleggiare nel degrado e nel sommerso, consegnando i figli all’inferno dell’elemosina e dell’accattonaggio, senza alcuna istruzione e tutela, possano crearsi le premesse per un’integrazione e una convivenza meno problematica con queste comunità.

Pensare l’integrazione come un processo monodirezionale, solo a carico delle categorie sociali emarginate, in cui le istituzioni scansano ogni incombenza del lungo periodo e mettono tutti i soldi (o almeno così dicono appena passate le elezioni) nelle operazioni delle ruspe e della polizia, è ingenuo oltre che sbagliato concettualmente. Molti di questi rom sono italiani, per molti di loro non può valere neppure la più volgare propaganda contro gli stranieri. E chi paga per la morte di questi zingari italiani?

E’ l’Associazione 21 luglio, impegnata per i diritti dei bambini rom, a denunciare con i numeri alla mano la cattiva politica del Campidoglio, mentre sindaco e assessori piangono le vittime addobbati per l’occasione. Il piano degli sgomberi è costato più di quello che sarebbe costato un qualsiasi altro progetto di accoglienza e integrazione: almeno 2-3 milioni già spesi e altri fondi richiesti dal Sindaco per altre ruspe.

Più tutti i soldi mai contabilizzati per i vari ampliamenti (come quello del campo di Salone dove non sono state più pagate le utenze prima parzialmente pagate), poi per la sostituzione di videocamere pienamente funzionanti in nome della sicurezza, quindi per gli scavi archeologici fatti nella zona del campo di Ciampino: un campo sotto gli aerei e a bordo del raccordo anulare che è costato fiumi di soldi straordinari.

Tutte mosse giustificate dall’emergenza, dalle elezioni o, come in questo caso, dalla morte di quattro bambini. Un business a tappe che conviene moltissimo a tanti. L’emergenza è funzionale e necessaria, non è l’effetto collaterale. Su di essa é costruito ogni respiro della nostra politica e tutta la traballante giunta della Capitale, infestata da copiosi scandali (occultati davanti alle telecamere dai rimpasti dell’ultima ora) e in piena paralisi operativa. Vorremmo credere che questa morte in fasce di quattro piccoli zingari in mezzo alla grande metropoli romana bastasse a capire che è difficile stabilire il confine della civiltà e che è sempre più incredibile pensare che essa sia la tabula rasa di una ruspa, lo spostamento coatto delle famiglie e le prossime tende che vedremo sotto i ponti delle periferie.

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