di Giovanni Gnazzi

A centinaia di migliaia scendono in piazza e, di rimando, qualcuno sale in cattedra. Se una straordinaria manifestazione di popolo (talmente pacifica da trasformare in figuraccia i desideri di Maroni) pone l’accento sull’organizzazione del lavoro, sull’equità fiscale e sulla ricetta giusta per uscire dalla crisi, alcuni personaggi sentono il bisogno di rimarcare la loro assenza con un sussulto di presenze davanti alle telecamere.

Succede spesso, purtroppo; in questo sgangherato paese i Tg vengono confezionati così: un minuto ai settecentomila in piazza, due minuti ai censori e tre a quelli che in piazza non ci sono andati. In un ribaltamento penoso delle notizie, la priorità non viene assegnata all’iniziativa, ma a quelli che si pronunciano in opposizione alla stessa.

Ovviamente, quando si tratta dell’azione di governo, le priorità si ribaltano: al governo va il 75% dello spazio, a chi denuncia le sue malefatte va il 25%. La teoria del "panino" dei Tg subisce quindi una metamorfosi a seconda delle occasioni. Gira che ti rigira, cambia la farcitura del panino, ma il risultato è che il governo ha spazio, l’opposizione molto meno. Fin qui, si dirà, niente di nuovo, ce lo si aspettava e non c’era certo bisogno di Minzolini per assistere a tutto questo. Ma la proiezione televisiva della manifestazione indetta dalla Fiom ha superato le attese.

Intanto, giornalisticamente parlando, aveva quattro caratteristiche che la rendevano importante. La prima è rappresentata dalla scelta del maggiore sindacato italiano dei metalmeccanici di scendere in piazza a difesa del Contratto collettivo Nazionale, ribaltando la teoria fondamentale di Marchionne e dei suoi seguaci, per la quale si deve scegliere: prima il lavoro poi i diritti. Come se il lavoro non fosse un diritto, il primo, fondamentale diritto cui devono seguire tutti gli altri previsti dalla Carta, dallo Statuto dei lavoratori e dalla giurisprudenza giuslavorista.

La seconda è che la manifestazione è presto diventata una marcia dell’opposizione contro il governo; non stupisca l’assenza del PD, semmai la cosa conferma l’affermazione precedente. La terza, invece, è tutta politica; la manifestazione della Fiom ha messo in luce come il sindacato dei metalmeccanici abbia preso non solo un’iniziativa al di fuori dei partiti dell’opposizione “ufficiale” (e indifferente alle sue lacerazioni interne) ma che abbia lanciato un segnale forte a tutto il movimento sindacale e last but no least, anche al prossimo congresso della Cgil.

La quarta, per i palati sociologicamente più fini, è che la manifestazione ha rimesso al centro della vicenda politica l’esistenza delle tute blu; sì, gli operai, quelli di cui con dotte analisi sulla composizione del mercato del lavoro si nega ormai non solo la centralità, ma l’esistenza stessa.

E invece, dopo trenta secondi d’immagini della folla oceanica che riempie Piazza San Giovanni, ci tocca vedere e sentire Sacconi e Bonanni dire rispettivamente che si è trattato di una manifestazione con parole d’ordine del secolo scorso, insomma anacronistica (Sacconi) e che l’unità sindacale su queste posizioni è una chimera (Bonanni). per carità, dichiarazioni scontate, si potrebbe osservare: però quello che risulta insopportabile è che l'informazione non ha ritenuto - salvo rarissime eccezioni - di approfondire questo spaccato del Paese, la sua nuova identità, il suo essersi messo di traverso rispetto all'aria montante della fine del lavoro.

E’ bene allora far presente a Sacconi e ai suoi suggeritori che a essere ascrivibili al secolo scorso sono le sue proposte di restaurazione del mondo del lavoro. Il Ministro berlusconiano, nell’odio ossessivo per le organizzazioni sindacali degli operai, propone ricette che da 30 anni almeno sono state superate in tutta Europa. Sacconi è un pessimo esempio di come la politica possa diventare ossessione patologica. Quanto a Bonanni, meglio avrebbe fatto a tacere.

Sarebbe bene, infatti, che il segretario della Cisl tenesse presente come l’unità sindacale - bene preziosissimo - sia stata distrutta dalla scelta (sua e di Angeletti) di firmare accordi separati dalla Cgil e di sedersi a tavoli di confronto con il governo senza la presenza del maggior sindacato italiano. Risultato, questo, dalla progressiva politicizzazione della Cisl e della Uil in chiave di sostegno al centrodestra italiano, che da sedici anni in qua, con scarse soluzioni di continuità, ha fatto ogni cosa in suo potere per ridurre le relazioni industriali ad un confronto tra le pistole e le tempie.

Bonanni, del resto, contento non poteva essere: la manifestazione di Roma ha reso ancor più evidente la differenza tra l’essere popolare ai tavoli del governo e l’essere decisivo nelle fabbriche e nelle piazze. Lui ed Angeletti potranno andare anche mille volte da Vespa o a Ballarò, ma nelle fabbriche la situazione è ben diversa. E' la Fiom che rappresenta oggi il coagulo del mondo del lavoro, non certo la Cisl o, tantomeno, la Uil.

Non si hanno, invece, notizie di Maroni; silente prima dell’assalto ultrà allo stadio di Genova in occasione della partita tra Italia e Serbia, aveva ritenuto in cambio di lanciare l’allarme sulla manifestazione Fiom. A Genova, ovviamente, era successo di tutto; a Roma, invece, niente. A dirla tutta, la minaccia di possibili incidenti era sembrata da subito come un auspicio più che un timore: l'organizzazione del servizio d'ordine della Fiom e, prima ancora, l'assoluta assenza di pulsioni suicide da parte di chiunque, hanno reso le "avvertenze" del Ministro dell'Interno parole senza tempo e senza senso. Se Maroni suonasse il sax a tempo pieno, invece d’intestardirsi con la politica, avremmo più musica e meno provocazioni. L’Italia intera se ne gioverebbe.

 

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