di Mariavittoria Orsolato

Nell’autunno caldo che vede sul piede di guerra il mondo della scuola e quello del lavoro dipendente, il mondo politico non ha di meglio da fare se non impegolarsi in una telenovela: una di quelle alla Beautiful, in cui le storie si avviluppano a tal punto che ogni tentativo di capirne la trama è vano. Il caso Marcegaglia- il Giornale è solo l’ultima delle vicende che stanno inabissando il dibattito politico italiano verso un impoverimento che non ha precedenti storici.

La dinamica è presto detta. Da una parte sta il giornale della famiglia Berlusconi - intestato formalmente a Paolo, ma controllato direttamente da Silvio - e dall’altra la presidentessa di Confindustria che, per ovviare all’immagine di lobby “sdraiata” sull’azione di governo, ha rilasciato dichiarazioni di biasimo rivolte all’esecutivo. Come già successo all’ex first lady Veronica Lario e al presidente della Camera Fini, nella redazione del Giornale i “segugi” si attivano per scovare quanti più scheletri la signora Marcegaglia tenga nel suo armadio ma, non trovando nulla che già non si sappia, si limitano a millantare tramite sms il famigerato dossier.

Rinaldo Arpisella, portavoce della presidentessa di Confindustria e amico di vecchia data del vicedirettore del Giornale Porro, si allarma e lo chiama per chiedere una conferma che sibillinamente gli viene data e la Marcegaglia chiama quindi Confalonieri che pone il veto a procedere. Emma, sentendosi evidentemente il fiato dei berluscones sul collo, avverte comunque la Procura di Napoli che, con il coordinamento del “pm dei vip” Henry John Woodcock, perquisisce spettacolarmente la sede del Giornale e ne indaga direttore e vice direttore per presunta attività di dossieraggio finalizzata alle minacce.

Scoppia l’ennesimo caso mediatico e, prima ancora che scenda un velo pietoso sulla spy story dell’impropria proprietà della casa di Montecarlo, l’attenzione della vita politica viene catalizzata dal nuovo scandalo e dalle sue assurde implicazioni. Certo la coincidenza tra le critiche al governo Berlusconi e l’avvio fulmineo di campagne diffamatorie a firma delle penne più schierate con l’esecutivo, proprio verso quelli che ciclicamente hanno avuto l’arroganza di contraddire Padron ‘Silvio o di giudicarne negativamente l’operato, è un’evidenza di come anche l’informazione abbia acquisito un modus operandi a orologeria.

Ma dov’è la novità? Sin dai tempi dell’editto bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi abbiamo imparato che chiunque sia sgradito al Presidente del Consiglio ha buone probabilità di scomparire dalla scena pubblica o, quantomeno, di venire infangato pubblicamente su una delle testate di famiglia. Perché allora strapparsi i capelli dinanzi ad una versione riveduta e corretta del killeraggio attuato sull’ex direttore di Avvenire Boffo? Ma chi se ne frega! È “ciarpame” già visto, stravisto e rivisto, e poco importa che stavolta la protagonista sia la numero uno di Confindustria.

Mai come in questo frangente storico il dibattito politico dovrebbe essere concentrato sui problemi, stringenti e quanto mai esiziali, che stanno attanagliando la penisola. Un’intera generazione non vedrà mai la sua pensione, la piccola impresa boccheggia schiacciata tra l’usura delle banche e un consumo che tarda a ripartire, la scuola è allo sfascio totale, la classe media scivola sempre più verso la soglia di povertà e si potrebbe continuare ancora nel segno di un giustificato catastrofismo.

Ma nello spaesamento programmatico e nella più totale incapacità di offrire soluzioni anche solo ad uno dei problemi sopraccitati, conviene che tutte le voci di palazzo convergano sulla fuffa al quadrato che le colonne del Giornale generosamente offrono su un piatto d’argento. Stando infatti alla teoria del two step flow - letteralmente “fluire in due mosse” - approntata da Lazarsfeld e Katz, i mass media non raggiungono tutto il pubblico in modo diretto, ma il messaggio che vogliono veicolare viene prima raccolto da un gruppo di persone influenti all'interno della comunità - i cosiddetti opinion leaders - i quali poi trasmettono il messaggio alle altre persone che sono meno attive nella fruizione dei mezzi di informazione.

Con questo semplice espediente la classe politica odierna, sedicente sinistra compresa, spera di deviare l’attenzione del popolo affamato e incazzato, conscia oltremodo del fatto che una storia ben raccontata e densa di colpi di scena fa presa come nient’altro sull’immaginario collettivo italiota. La stessa Emma Marcegaglia ha tutte le ragioni per offrire il fianco agli strali del Giornale: dal momento che il padre Steno è attualmente accusato di falso e associazione a delinquere all’interno di un’inchiesta “Golden rubbish” sul traffico di rifiuti tossici in Campania, la nuova immagine di vittima sacrificale dell’egotismo berlusconiano gioverebbe in seno alla stessa logica del fuoco di copertura.

In tutto questo inutile bailamme, l’unico argomento per cui varrebbe la pena spendere un ragionamento è quello che riguarda il labile confine tra prassi giornalistica e dossieraggio. Se l’inchiesta di Napoli dovesse proseguire nel piano accusatorio (al contrario delle molte inchieste principiate da Woodcock) il rischio di sconfinare dal doveroso accertamento di una notizia di reato in una prevaricazione della libertà di stampa è quanto mai tangibile. Raccogliere informazioni su un determinato personaggio pubblico fa parte dell’abc degli operatori dell’informazione e il fatto che queste possano risultare compromettenti, in senso giudiziario e non, è uno dei motivi che spinge un giornalista deontologicamente inattaccabile a fare il suo mestiere.

Sarebbe perciò un enorme danno se venisse emessa una sentenza in cui ad essere condannato fosse il lavoro giornalistico: a livello giurisprudenziale, il precedente sarebbe talmente forte da far impallidire ogni legge bavaglio. Pensiamoci.

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