di Mariavittoria Orsolato

In questo giro di boa della legislatura a fare la voce grossa è ormai la Lega Nord. Sempre più forte sul piano dei consensi, sempre più inserita nei posti chiave delle istituzioni. Sarà che con Bossi e soci è sempre meglio trattare, fatto sta che dopo le innumerevoli leggi ad personam varate dall’esecutivo Berlusconi, finalmente è giunto il turno del Carroccio. Lo segnala il Corriere della Sera e l’espediente è sempre lo stesso: utilizzando il cavallo di Troia di un provvedimento omnibus - in questo particolar caso, il nuovo Codice dell’Ordinamento Militare - s’inserisce un comma tramite cui aggirare gli impedimenti legali in corso.

Il disegno di legge 66 del 15 marzo 2010, a firma del ministro della Difesa La Russa e dell’omologo alla Semplificazione Roberto Calderoli, tra le sue 1085 norme nasconde infatti l’abolizione dell’articolo 306 del Codice Penale, un articolo che ai più giovani non dirà nulla di nuovo, ma che a molti riporta la memoria indietro di 30 anni. Stiamo parlando dell’imputazione di banda armata, accusa principe delle centinaia di processi celebratisi a cavallo degli anni ‘70 e ’80 e punibile con la reclusione dai tre ai quindici anni; che però, è ufficiale, dal prossimo 8 ottobre uscirà dal novero dei reati penalmente perseguibili.

Ma non si tratta di un ripensamento giuridico sulla legislazione emergenziale e le storture che essa ha prodotto sul Codice Penale. Il motivo fondante per cui uno dei capisaldi dell’anti-terrorismo verrà bellamente smantellato è un altro e molto meno nobile: 36 esponenti del Carroccio sparsi fra il Piemonte, la Liguria, l’Emilia, la Lombardia e il Veneto sono attualmente sotto processo a Verona con l’accusa di aver messo in piedi una formazione paramilitare denominata “Guardia Nazionale Padana”.

Lo sparuto esercito del nord, noto ai più come “Camicie verdi” (in riferimento all’immancabile divisa, oltretutto di sinistra memoria) doveva fungere da baluardo per la secessione e da deterrente contro l’immigrazione - clandestina o meno, per la Lega c’est la même chose - ma nel 1996 arrivò il procuratore della Repubblica Guido Papalia a guastare la festa.

Grazie alle indagini della Digos e ad una serie di intercettazioni telefoniche, si veniva infatti a sapere che, al momento del reclutamento, chi aderiva alla formazione paramilitare doveva indicare se era in possesso di armi da fuoco e se ne aveva il porto, e quando Papalia - nel frattempo pesantemente insultato sui muri di tutta la città di Giulietta - mandò gli ispettori in via Bellerio, sede della Lega Nord a Milano, sequestrò elenchi che confermavano la sua intuizione: ovvero che il Carroccio e la sua base si preparavano alacremente in visione di uno scontro futuribile.

Probabilmente forte di questa certezza, il Senatùr ha in più occasioni minacciato un’azione diretta: l’ultima castroneria di questo tipo in ordine di tempo è datata 18 agosto, quando in risposta ad alcuni attivisti vicentini che durante un comizio gli hanno gridato “Fuori le doppiette” Bossi ha risposto: “Per i fucili c’è tempo, abbiamo comunque milioni di uomini che vogliono liberarsi e che vogliono il cambiamento per loro e per i loro figli”.

Tra gli imputati di attentato alla Costituzione, attentato all’unità e all’integrità dello Stato e costituzione di banda armata figuravano lo stesso Bossi, Maroni, Borghezio e naturalmente Calderoli, all’epoca tutti eurodeputati o parlamentari che godevano dell’immunità votata dai colleghi. Ora, a 14 anni dall’avvio dell’istruttoria, due dei tre capi d’imputazione sono decaduti tramite il medesimo meccanismo di cancellazione del reato per decreto.

Sulla carta rimaneva perciò solo la terza delle accuse e al momento della riapertura del processo, lo scorso venerdì a Verona, la difesa ha prontamente segnalato al giudice Guidorizzi che i suoi assistiti non avrebbero più avuto motivo di presentarsi in aula, dato che nel giro di venti giorni il reato per cui sono attualmente sotto processo sarà dichiarato estinto.

Il presidente della Corte non ha perciò potuto fare altro che accogliere l’eccezione sollevata dai legali della difesa e rinviare il processo al prossimo 19 novembre quando, di fatto, ci si recherà in aula solo per dichiarare la chiusura dell’istruttoria e l’assoluzione degli imputati per la non sussistenza del reato.

Ci troviamo quindi nuovamente di fronte alla cancellazione di una voce del codice penale in nome del più bieco tergiversare giudiziario, e poco importa se in questi stessi giorni il Dipartimento di Stato americano ha emesso un “travel alert”, un avvertimento ai connazionali per la possibilità di attacchi terroristici in Europa. Al Governo che ha vinto le elezioni berciando sull’assoluta necessità di sicurezza e ai leghisti che vedono in ogni raduno di preghiera coranica una potenziale cellula di Al Quaeda, frega solo che Dike non ponga su di loro il suo sguardo inquisitore.

 

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