di Rosa Ana de Santis

Mentre il Paese degli azzurri appende i tricolori sui balconi per la Nazionale, torna ad essere protagonista il maltrattato inno nazionale. Solo qualche giorno fa, in occasione di Italia - Svizzera, ci aveva pensato il calciatore Marchisio - così pare dal suo labiale e dai sorrisi divertiti dei compagni di squadra - ad apostrofare “Roma Ladrona” nei versi risorgimentali di Mameli. Ora ci pensa Zaia, neo governatore della Regione Veneto, a creare il caso. All’inaugurazione di una nuova scuola elementare, nella provincia di Treviso, l’ex ministro avrebbe chiesto alla banda musicale di suonare Va pensiero al posto dell’Inno Nazionale o, in ogni caso, di non aver fatto suonare per primo - come vorrebbe il cerimoniale - Fratelli d’Italia. In una domenica soleggiata d’estate, questa notizia può diventare un caso e così è stato.

L’opposizione chiede al governatore leghista di fare chiarezza. Una distrazione, un equivoco o una regia anti-repubblicana meditata? La Russa, che utilizza la retorica patriottica  solo quando deve scusare le morti dei nostri soldati in Afghanistan, questa volta non s’indigna e si dice sicuro che Zaia non abbia censurato l’Inno di Mameli, ma che, suo malgrado, ci sia stata una sottovalutazione nel cerimoniale d’inaugurazione.

La soluzione è un disegno di legge che regolamenterà in modo ufficiale l’uso obbligatorio dell’inno nazionale. Il grimaldello dell’imposizione in luogo del sentimento patriottico spontaneo è proprio la metafora di come l’Italia abbia costruito la propria unità: a freddo e dall’alto. Improvvisamente mansueto il Ministro delle Forze Armate, forse un po’ troppo anche per uno che ha preferito la Lega e il premier, alla vecchia scuola di AN.

Nel frattempo Zaia,  a Sky Tg24,  ribadisce che i cori sono stati due e che l’esecuzione dell’Inno c’ è stata. Che la Lega Nord, da tempo, persegua la battaglia contro l’inno che definisce la Patria “schiava di Roma” e che affonda le sue radici nella storia del Risorgimento, tanto indigeribile per la Padania, è noto. Fu proprio Bossi a proporre il Nabucco al posto di Mameli.

Quale che sia stato il programma dell’esecuzione, il problema politico non è certamente Zaia e la cronaca della scuola di turno, ma l’insidia della divisione e della secessione che il PDL coccola in grembo e che occulta, facendo finta di dimenticare che alla festa nazionale del 2 giugno fosse proprio la Lega l’unica forza politica assente. Anche questa una svista nell’agenda? Una spiegazione ufficiale non è mai arrivata.

A questo scenario pericoloso fa da controaltare un’assenza diffusa di autentico sentimento patriottico. Non quello che va di moda nell’estrema destra, ma quello sano dei nostri nonni, che la Patria l’hanno amata e difesa prima di cantarla ed esibirla. Quei testimoni che oggi, non a caso, nelle scuole vengono chiamati sempre meno. A dircelo è la cronaca di un’altra scuola: la Gioacchino Belli di Roma e la reazione della preside,  irritata dal fuori programma dei suoi studenti che, nel corso di una manifestazione al Ministero dell’Istruzione, hanno intonato Bella ciao.

Forse perché i partigiani e la Resistenza non piacciono a questo governo e tra qualche anno non li troveremo più nei programmi di storia. E’ davvero l’amore per la patria che si vuole insegnare alle nuove generazioni o il timore del potere costituito? Perché non può esistere un autentico sentimento di amore per la propria patria senza il riconoscimento della storia che la riguarda e non c’è dubbio che di storia vissuta sulla pelle dell’Italia ce ne sia di più nello spontaneismo popolare del canto delle resistenza che non nel Nabucco.

Il Ministro della Difesa, La Russa, si dice sorpreso a vedere la sinistra tanto sdegnata dalla mancanza di attenzione per valori e simboli dell’unità d’Italia. Forse perché anni fa essere di sinistra significava, quasi necessariamente, non essere patriottici. Una dicotomia sbagliata nella dottrina e nella storia, soprattutto pensando che nell’amore di patria di un popolo coraggioso è contenuto il primo movente di un tirannicidio. Ma quest’orgoglio del tricolore è ormai muffa per gli archivi.

A noi rimane la bandiera delle tribune durante le parate militari o l’inno cantato dai calciatori.  E’ così che tutti possono dire di sentirsi italiani. Tanto non costa né coraggio, né fatica.

 

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