di Mario Braconi

Dopo il vergognoso "aiutino" ad evasori fiscali e cultori dell'abuso edilizio, nel teatrino horror-kitsch di un governo berlusconiano non poteva mancare il tradizionale "numero" di assalto ai diritti dei lavoratori dipendenti: è di scena in questi giorni l'attacco alle pensioni. Sempre che il bavaglio confezionato dall'esecutivo lo consenta, il governo Berlusconi si fa notare quasi quotidianamente per il suo atteggiamento disinvolto nei confronti del malaffare (il caso Scajola sembra in effetti la punta di un iceberg); inoltre, al di là dei proclami populistici, pare proprio che il confuso opportunismo finanziario e la conclamata debolezza morale che lo contraddistinguono non possano esprimere molto più che provvedimenti il cui vero obiettivo è favorire i disonesti.

Con queste premesse, appare incongrua, per non dire sospetta, la solerzia con la quale Sacconi, ministro del Welfare della nostra Repubblica, si dà un gran da fare per ripristinare l'onore dell'Italia, infangato dalla procedura di infrazione elevata dalla Corte Europea a causa della mancata equiparazione dell'età pensionabile tra dipendenti pubblici maschi e femmine: oggi, infatti, è previsto che i primi possano andare in pensione a 65 anni, cinque anni più tardi delle loro colleghe. Ora, tutto si può dire fuorché l'Italia si tiri indietro se si tratta di violare le regole comunitarie: non a caso di infrazioni ne ha collezionate oltre un centinaio. Eppure non tutte appaiono ugualmente preoccupanti agli occhi degli esecutivi nazionali.

Vediamo il caso sorto attorno alla delibera CIP6 del  29 aprile 1992, con la quale sono stati stabiliti i prezzi incentivati dell'energia prodotta da fonti rinnovabili o "assimilate": poiché gli incentivi ai produttori "virtuosi" si riflettono in un carico per l'utente/contribuente, si tratta di un balzello, anche se, almeno inizialmente, destinato ad una giusta causa. Poiché secondo la legge italiana tra le energie rinnovabili si trova anche la "trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici" (!), da decenni gli italiani involontariamente (e spesso inconsapevolmente) pagano un sussidio obbligatorio a favore di chi produce e gestisce inceneritori di rifiuti.

Si tratta di impianti che, a dispetto del suggestivo nome con il quale si è deciso di ribattezzarli - "termovalorizzatori" - sparano nell'atmosfera diossina ed altre porcherie tossiche. In sintesi, con la bolletta della luce gli Italiani da decenni subiscono un prelievo forzato che lo stato utilizza per aiutare famiglie amiche (Garrone, Moratti, Marcegaglia) a gestire il loro business inquinante.

Un vero capolavoro, il cui fulgore perverso è appena appannato dalla contestazione, nel corso degli anni, di ben quattro procedure di infrazione europee (2004/43/46, 2005/50/61, 2005/40/51 e 2005/23/29). Dopo 18 anni di allegro rapinare, alla fine del 2009 l'apparente salto quantico: come nota il sito del Ministero per lo Sviluppo Economico, grazie al decreto firmato il 2 dicembre 2009 dal ministro Scajola, gli incentivi "finiranno a cominciare dal 2010 con effetti benefici per i consumatori" (si noti per inciso il banditesco uso dell'Italiano).

Peccato che, come spiega la nota esplicativa del decreto, le "convenzioni CIP 6/92 aventi ad oggetto gli impianti alimentati da fonti rinnovabili e da rifiuti (altra tipologia prevista dalla normativa in essere) non sono oggetto di questo decreto e sono rinviate a eventuale provvedimento successivo". Il che vuol dire che, benché i procedimenti a carico dell'Italia risultino in qualche modo chiusi, gli incentivi per i termovalorizzatori continuano a sopravvivere e prosperare a dispetto del diritto e del buonsenso.

Tutto ciò per dire che non tutte le infrazioni europee sono uguali e che, quando un amico si fa avanti, la soluzione si trova sempre. Se invece si tratta di prendere posizioni muscolari nei confronti dei lavoratori, la musica cambia. Ed è così che il ministro Sacconi, indimenticabile protagonista di un'imbarazzante battaglia moralista sul corpo di Eluana Englaro, esce mortificato da un incandescente rendez-vouz con una Commissaria Viviane Reding versione sado-maso: stringendosi nelle spalle riconosce che l'adeguamento graduale dell'età pensionabile traguardato al 2018 non soddisfa la rigorosa cristiano-sociale lussemburghese. Si dovrà quindi innalzare in tutta fretta l'età pensionabile delle dipendenti pubbliche italiane di 5 anni, possibilmente in un'unica soluzione, nel 2012.

Quanto rigore, nei confronti dell'Italia...Eppure, analizzando le norme che disciplinano il pensionamento dei dipendenti pubblici in Europa, si scopre che, su 24 Paesi, 13 non hanno regole diversificate per genere, mentre 11 distinguono tra uomini e donne - tra questi, oltre all'Italia, Polonia, Austria, Spagna e Regno Unito – ma si noti che quest'ultimo prevede l'equiparazione solo nel 2020. Si può dunque concludere che la ragione per la quale il governo Berlusconi ha iniziato la sua "campagna" di ridimensionamento del welfare è sostanzialmente di tipo politico: si tratta, infatti, di introdurre in modo graduale il concetto dell'ineluttabilità di un innalzamento, anche consistente, dell'età pensionabile - per tutti.

Oggi, è vero, si parla delle donne che lavorano nella pubblica amministrazione; domani toccherà anche a tutti altri. Non ci si lasci illudere dalla foglia di fico dell'Europa, un comodo alibi dietro cui il pavido ministro si nasconde. Né sorprende più di tanto apprendere che sulla scrivania di un giornalista di Repubblica sia stato fatto scivolare "per caso" un dossier dal quale si evince che i sacrifici (altrui) che ha in mente il nostro esecutivo sono più pesanti e persistenti di quanto si possa immaginare.

L'arrembaggio contro le dipendenti pubbliche nasconde un'offensiva di tipo (anche) culturale: via le certezze e niente pensione fino a 70 anni per i neoassunti dal 2010 in poi. Un modo come un altro per mutare il giusto malcontento delle nuove generazioni nel cinismo della disillusione.

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