di Fabrizio Casari

La legge che prova ad abolire la libertà di stampa in Italia è passata al Senato. Dovrà ora tornare alla Camera per la sua ratifica definitiva o per eventuali - ancorché limitate - modifiche al testo licenziato da Palazzo Madama. Sarà dunque Montecitorio l’ultimo appuntamento legislativo per definire i dettagli dell’imbavagliamento mediatico. Poi toccherà al referendum sancirne la sorte che merita. Le norme contenute nella legge non hanno nulla a che vedere con il rispetto della privacy degli indagati, né hanno a che vedere con il rispetto rigoroso di ruoli e responsabilità dei diversi attori ascrivibili alla violazione del segreto istruttorio.

La legge ha, al centro del suo dispositivo, norme e minacce al lavoro degli investigatori e delle procure. Mira a rendere estremamente difficile la continuità delle inchieste e, di converso, a difendere le cricche e i politici che le sostengono e che da esse, nel contempo, sono foraggiati e sostenuti, dalla diffusione pubblica del loro operato e dei loro intrecci affaristici. La legge è questa e la parte riguardante il diritto di cronaca e, prima ancora, il diritto dei cittadini ad essere informati, sono due degli elementi che compongono la triade del nuovo Minculpop.

Il primo scopo della legge è impedire d’indagare; il secondo d’impedire che si sappia su chi e cosa s’indaga, il terzo di evitare che chi legge (e poi vota) giudichi. Si deve sapere che alcuni tra i reati più orrendi della storia di questo paese, siano essi di mafia e di stragi, o di peculato e truffe sulle tragedie, non sarebbero venuti alla luce se gli investigatori non avessero potuto utilizzare le intercettazioni. Non avremmo saputo, per esempio, di sciacalli festanti per il terremoto che pregustavano il business con i corpi sotto le macerie. Ed è proprio per questo che oggi diventa tutto più difficile per chi indaga: gli intrecci e le lotte di potere per il dominio politico-affaristico del paese hanno senso solo se nascoste, segrete ai cittadini ma chiare a chi deve capire. Un codice per addetti ai lavori, che ha bisogno di cittadini ed elettori ignoranti.

Questo sito non ha mai voluto pubblicare estratti e verbali di inchieste, meno che mai requisitorie di pm sotto forma di articoli: siamo convinti che la distanza tra verità dei fatti e verità processuale vada mantenuta in uno Stato di diritto, e che i giornali (diversamente dagli attori del processo) debbano essere affezionati alla prima più che alla seconda. Superluo dire che, comunque, non obbediremo a questa legge e ci adopereremo affinché venga cancellata il prima possibile. Crediamo anche che nessuno si opporrebbe a una legge che tutelasse maggiormente la privacy delle persone, regolarmente messe alla berlina sui settimanali e quotidiani gossipari riconducibili alla proprietà del Presidente del Consiglio.

Le liste di proscrizione in prima pagina, i pedinamenti dei giudici che indagano sulle cricche, i gossip peggiori sulle celebrità non affini politicamente, come il traffico di dossier tra Palazzo Grazioli e le redazioni dei suoi giornali, destinati a colpire gli avversari politici soprattutto con dossier falsi, fanno ormai parte di una consolidata tradizione ascrivibile all’impero mediatico di chi ha voluto la legge bavaglio.

Nessuno obietterebbe niente nei confronti di norme che tutelassero la secretazione degli atti d’indagine e che impedissero la pubblicazione d’intercettazioni ininfluenti, quando non estranee, all’inchiesta in corso. In questo contesto, il rispetto della privacy sarebbe un elemento di valore aggiunto.

Ma la verità è che la legge si guarda bene dal difendere questi elementari diritti di chi è indagato, essendo invece solo mirata a minacciare editori e giornalisti dalla pubblicazione di quanto altri soggetti - avvocati, cancellieri, magistrati - offrono ai cronisti di giudiziaria. Dunque la legge non punisce un comportamento illecito degli attori del processo (ma anche lecito, quando è fatto nei modi e nei tempi stabiliti dall’ordinamento, visto che gli atti depositati, come i processi, sono costituzionalmente pubblici) ma solo la loro pubblicazione sui media.

La verità è che l’incontinenza verbale degli affaristi e l’inevitabile uso del telefono per collegare soggetti diversi situati in luoghi diversi, è divenuta una fonte primaria d’indagine che colpisce i grandi reati, non certo la microcriminalità. Per questo viene limitato l’uso delle intercettazioni, per questo viene messa in mora la possibilità di acquisire prove tramite le stesse. Se si fossero intercettati solo i ladruncoli e la microcriminalità, nessuno avrebbe pensato ad una legge bavaglio, se ne può essere certi.

Quanto ai media, il tentativo é quello di riportare i giornali sotto il controllo militare degli editori, minacciati da multe pesantissime. In sostanza, l'obiettivo, nemmeno celato, é quello di scavalcare il ruolo dei direttori e dei giornalisti, imponendo le ragioni di opportunità degli editori sulla libertà di stampa. Come dire: non importa se quello che c'é scritto é vero, importa solo quello che ti costa scriverlo.

L’intimidazione ai giornalisti è evidente: la concezione che i potenti hanno dei giornalisti è quella che prevede microfoni e telecamere rincorrere i leader e i peones sui corridoi, così da essere utilizzati per l’invio di messaggi auto promozionali e offerte o minacce ad amici e avversari. Li vogliono ridenti e soddisfatti, intenti a confezionare il nulla con la fuffa, compiaciuti dell’aver registrato per primi la banalità del giorno, comprimari di quel penoso spettacolo che ci offrono i tg. Sarebbe ora che tutti noi giornalisti cominciassimo a riflettere su quello che facciamo come categoria per meritarci il rispetto ed il timore del potere.

Magari la categoria decidesse una sola, piccola iniziativa: si prendano nomi e cognomi di deputati e senatori che votano la legge bavaglio e si stabilisca che in nessun giornale, mai più avranno l’onore di una citazione, di una foto, di una battuta riportata, men che mai di un’intervista. Questo, l’anonimato de facto, è ciò che li terrorizza più del loro capo. La loro vanità è notevolmente superiore allo spirito di servizio verso le istituzioni. Bisognerebbe quindi annunciare trasversalmente a chi non vuole che i giornalisti scrivano, che proprio di loro non scriveranno. Avremo tale e tanto rispetto della privacy che non li nomineremo più per quanto attiene alla loro attività politica.

Quello consumatosi ieri al Senato è un reato contro la dignità di un paese. L’aula non è più "sorda e grigia", ma urlante e nera, e vota la fiducia ad una legge che porta in sé un tanfo insopportabile di ventennio. Il fatto che l’abbia presentata Gasparri, evidenzia, almeno, un tributo alla coerenza.

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