di Cinzia Frassi

Il 28 maggio 1974, a Brescia, una bomba nascosta in un cestino portarifiuti esplose mentre era in corso una manifestazione indetta dal Comitato Antifascista. Piazza Loggia era gremita di gente. L'esplosione fu estremamente violenta e si avvertì in tutta la città. La notizia si diffuse rapidamente e molti di noi restarono con il fiato sospeso fino al rientro a casa dei familiari che lavoravano o che erano comunque fuori casa e nei pressi del centro storico. L'attentato fascista fece 8 morti e 103 feriti e oggi ancora nessun colpevole.

Mentre si preparano gli appuntamenti per celebrare la ricorrenza,  entra nel vivo l'ultimo processo, derivante dalla terza istruttoria, che ha portato al rinvio a giudizio per concorso in strage di nomi "illustri": Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo, l'ex generale dell'Arma, Francesco Delfino, e uno dei suoi infiltrati, Giovanni Maifredi, autista del ministro dell'Interno dell'epoca Paolo Emilio Taviani e uomo dei servizi segreti. E ancora: Delfo Zorzi, condannato per la strage di Piazza Fontana e ormai cittadino giapponese e Carlo Maria Maggi, militante di spicco di Ordine Nuovo.

In questi giorni nell'aula della Corte d'Assise in cui si sta celebrando il processo ai cinque imputati della strage, sono entrati in scena i periti Paolo Egidi, Federico Boffi e Paolo Zacchei della polizia scientifica divisione IV, sezione II, della direzione centrale anticrime della polizia di Stato di Roma. La ricostruzione della scena è stata realizzata in 3D, tenendo conto di ogni particolare possibile, partendo dalle immagini dell'epoca, dai rilievi e dalle testimonianze. Questo per rispondere a quesiti importantissimi per il procedimento: l'esplosivo utilizzato, la sua provenienza, l’innesco e anche la sua compatibilità rispetto a quello sequestrato in altre occasioni, soprattutto nel ’74. In base alle conclusioni della perizia, si smonta letteralmente la versione di Carlo Digilio, esperto di armi e vicino alla cellula ordinovista del Veneto che, tra le altre cose, non parlò dell'innesco. In base alla ricostruzione, infatti, sembra che l'ordigno avesse un dispositivo di innesco  radiocomandato.

Le conclusioni dei periti ci dicono anche che l'esplosivo era a base di tritolo, presumibilmente di impiego militare,  perché contenente tritolo e nitrato di ammonio, esplosivo polverulento per impieghi militari. Precisano anche che si trattò di almeno un chilo di esplosivo. Ciò consente anche di stabilire la compatibilità con l'esplosivo che il 19 maggio del '74 fece saltare in aria Silvio Ferrai e la sua Vespa e con quello sequestrato nella sua abitazione pochi giorni dopo la strage. Non sono risultati invece compatibili i cinquanta chili di esplosivo sequestrati a Spedini e Borromeo, arrestati proprio da Francesco Delfino, all'epoca capitano dei Carabinieri e oggi imputato per la strage. Spedini e Borromeo si sono sempre dichiarati vittime di una trappola ordita proprio dall'ex-capitano e da Maifredi.

Francesco Delfino é una figura curiosa, emblematica nell'esperienza italiana della strategia nera della tensione. Già al suo arrivo a Brescia nel '71 veniva indicato come uomo dei servizi segreti e il suo nome salta fuori in moltissime vicende ancora non chiarite e fra le altre anche il sequestro Moro, oltre che nel depistaggio appunto alle indagini per la strage di Piazza Loggia. Per la maggior parte dei bresciani, tuttavia, Delfino è l'uomo del sequestro Giuseppe Soffiantini, un imprenditore locale, condannato a tre anni e quattro mesi per truffa aggravata: in sostanza si è messo in tasca 800 milioni di vecchie lire promettendo la liberazione del sequestrato.

Un emblematico personaggio in un'emblematica vicenda, l'ennesima legata alla storia italiana nel periodo più caldo, soprattutto a causa del feeling tra destra nostrana e Cia d'oltreoceano per costruire a tavolino e scientificamente la famosa “strategia della tensione”, che si è poi tradotta nelle varie piste nere delle stragi. Così è anche in questo terzo processo che, udienza dopo udienza, scandaglia ogni dettaglio, ogni particolare, cercando la verità e una risposta definitiva per i familiari delle vittime. Questa come altre stragi impunite vede l'impegno di persone che, al di là delle celebrazioni in punta di cravatta, dedicano tempo ed energie perché non si scriva la parola fine senza colpevoli.

“Se ci sono persone che ancora tacciono la verità sulla strage di piazza Loggia, vuol dire che ci sono cose importanti da sapere, cose che ci riguardano”. Sono parole pronunciate di recente proprio a Brescia all'auditorium San Barnaba, dove il signor Misteri d'Italia, Carlo Lucarelli, ha parlato agli studenti delle scuole cittadine in occasione della Giornata della memoria delle vittime del terrorismo. Lucarelli ha aggiunto che “queste ricorrenze devono diventare delle occasioni per accendere degli interruttori che devono rimanere aperti tutti l'anno. C'è ancora un processo in corso: incominciate a seguirlo. Si deve combattere l'oblio con l'informazione, con la scuola e l'attività politica”.

Il problema delle commemorazioni, infatti, è il day after e tutti quelli dopo fino alla successiva celebrazione. Le autorità si mettono in fila e le iniziative nobili si sprecano, ma non è sufficiente per arrivare a scrivere la parola fine di vicende come quella della strage in questione. Intanto la memoria storica si scontra con un'informazione sempre più miope e una conoscenza molto limitata nei giovani di queste vicende della storia italiana.

 

 

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