di Fabrizio Casari

Una rottura politica insanabile e inevitabile. La messa in onda dello scontro tra Berlusconi e Fini ha rappresentato, per la prima volta nella storia della monarchia assoluta forzitaliota, non solo e non tanto la prima discontinuità pubblica, ma anche la presentazione in società di due modelli di destra diversi, forse inconciliabili. Il racconto dello scontro alla direzione del predellino vede un capo supremo che reagisce nervosamente a critiche politiche precise, articolate senza sconti, per quanto non esasperate nei toni e non ultimative nell’esito proposto.

Alle critiche il cavaliere ha risposto invitando Fini a dimettersi dal suo ruolo a Montecitorio. Come se Montecitorio fosse un ramo d’azienda. Buffa questa storia per la quale se si vuole far politica ci si dovrebbe dimettere dallo scranno più alto di Montecitorio. Il Presidente della Camera non è forse una nomina politica? O viene eletto per concorso pubblico? E perché il ruolo di garanzia istituzionale dovrebbe far velo su quello politico? Sembra un’ammissione d’inconciliabilità dei due livelli: il che non è nuovo, ma nemmeno confortante.

Lo scontro tra i cofondatori del Pdl indica anche molte altre cose, sia di contorno che di sostanza. Nella prima categoria si possono iscrivere l’imbarazzo generale di una platea di dipendenti di fronte alle critiche al capo (che di loro decide presente, futuro e modello 730) a cui si possono aggiungere le piroette dei voltagabbana, i voltafaccia dei fedeli a tempo, la rappresentazione plastica ed urlata di un partito di eletti che divengono peones. Alla seconda categoria va invece iscritta della fine della mediazione tra le diverse istanze della destra italiana, che aveva fino ad ora tenuto insieme le pulsioni xenofobe con la questione meridionale, l’ideologia dell’impresa con quella della rappresentanza corporativa del mondo del lavoro.

Il cemento dell’anticomunismo non basta più; soprattutto è inutile, vista l’assenza, appunto, dei comunisti. La posizione di Fini rende palese, sul piano personale e politico, l’esaurirsi di ogni funzione politica del Presidente della Camera, che vede la fine di un progetto politico di lungo respiro per una destra che, caso unico in Europa, continua a manifestarsi solo attraverso l’odio di classe e le pulsioni cesariste del proprietario di tutto. D’altra parte il predellino non aveva mai convinto l’ex delfino di Almirante. Roba di plastica, uno spot elettorale, un modo per riperpetrare all’infinito lo strapotere di Silvio e l’assoluta inutilità di tutto il resto. Già solo la richiesta di dibattito politico, non a caso, è sembrata al cavaliere un’onta da lavare con le dimissioni da Presidente della Camera.

Fini ha altro per la testa. Cerca la definitiva fuoriuscita dalle radici del Msi, in vista della formazione di una destra europea, venata di gaullismo e peculiarità italiana. Una destra moderna, riposizionata in un’epoca dove non ci sono più bolscevichi da combattere e agrari da sostenere, ma dove il disordine internazionale e la crisi di leadership statunitense, l’incompiuto progetto europeo, le contraddizioni del modello di sviluppo, la crisi degli stati-nazioni, l’incertezza identitaria dei popoli, obbligano ad un ripensamento generale di tipo sistemico.

Altro che secessione e longobardi, altro che acqua del Po e Borghezio: Fini ha un’idea della destra come destra europea, che assume le coordinate generali del sistema politico democratico che possono essere aggiustate alle singole specificità, ma che non possono considerarsi alternative al sistema di rappresentanza previsto dalla democrazia, anche quando fosse solo formale. Pur mantenendo l’impianto generale della cultura di provenienza, il Presidente della Camera chiede laicità delle istituzioni, diritti civili, percorso inclusivo dell’immigrazione: un’idea di destra che è esattamente all’opposto della mistura di xenofobia e Vandea propria della Lega.

E che il problema dell’identità della destra - e quindi della sua stessa prospettiva per il dopo-Berlusconi - sia rappresentato dalla Lega, è sotto gli occhi di tutti. Il dato delle ultime regionali parla chiaro: due milioni e mezzo di voti persi dal Pdl, di cui l’80% cannibalizzati dalla Lega. Un travaso che si spiega anche con l’assunzione da parte di tutto il Pdl delle tesi leghiste che, quindi, divengono d’un colpo tesi della destra italiana tutta e premiano, di conseguenza, chi sul territorio le spaccia. Si delinea quindi un’azienda con la Lega che detiene la quota di maggioranza del pacchetto azionario.

Ma Berlusconi (diversamente da Bossi, che nel ’94 fece cadere il governo di fronte alla cannibalizzazione della Lega al nord da parte di Forza Italia) tace e acconsente allo strapotere del partito xenofobo; ne ha un bisogno vitale per far passare le leggi ad personam. Ha bisogno disperato della lega per vincere in tutti i collegi del nord e per ridisegnare a sua immagine e convenienza l’architettura costituzionale italiana. Bossi, dal canto suo, si presenta con il figlio (autentico scienziato della politica) e Calderoli, a disegnare il percorso di riforme costituzionali. Il disegno è più o meno questo: tu consegni a noi il federalismo fiscale, le banche, gli enti e la divisione in tre del paese, noi consegniamo a te il potere politico assoluto. Lo scambio è la leadership del Pdl a Tremonti in cambio dell’ascesa al Quirinale di Berlusconi.

Roba da stomaci forti, comunque indigeribile per Fini, che con l’apertura dello scontro interno lancia un messaggio preciso: la destra non ha in Berlusconi l’unico ed ultimo rappresentante e la sua ascesa al Quirinale non è praticabile anche per la destra non berlusconiana. Anche per questo la reazione di Berlusconi è stata scomposta: è perfettamente consapevole che in gioco é sia la messa in discussione della sua leadership da parte di chi considera comunque un suo suddito (ingrato, per giunta), sia una pietra importante alle caviglie per la corsa al Quirinale.

Lo scontro, comunque, è solo agli inizi. Ma l’impressione è che Fini, le cui idee hanno molto più seguito nel suo elettorato che non tra i suoi colonnelli d’un tempo, ha aperto un cammino il cui esito è tutto da verificare: potrebbe portare all’ennesima scissione destinata ad alimentare il nuovo centro con Casini, Rutelli, Rotondi e spiccioli e, forse, con Montezemolo regista arretrato; oppure alla stagione della lenta agonia degli equilibri tenuti fino ad ora con l'assoluta supremazia del capo. Un avvicinarsi speriamo penoso, ma non pericoloso, alla fine del film.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy