di Mariavittoria Orsolato

E’ una lunga marcia quella che il governo ha intrapreso nel tentativo di modificare i fondamentali giuridici dello Statuto dei Lavoratori. Il testo del ddl, approvato dalle Camere lo scorso 3 marzo, è stato rimandato ai mittenti dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, proprio in ragione della norma che avrebbe dovuto introdurre l’arbitraggio legale nelle controversie sui licenziamenti. La norma andava palesemente aggirando quell’articolo 18 dello Statuto per cui, non meno di 8 anni fa, la Cgil di Cofferati riuscì a riempire il Circo Massimo con tre milioni di lavoratori.

Da allora, di acqua sotto i ponti ne è scorsa molta e il progetto del governo Berlusconi, arrivato nel frattempo alla sua quarta edizione, era quello di smantellare l’apparato difensivo del lavoratore licenziato in assenza di giusta causa: inserendo una clausola compromissoria al momento della stipula del contratto, il dipendente sarebbe stato “volontariamente obbligato” a ricorrere ad arbitri - semplici figure extragiudiziali, giudicanti in deroga alla legge - invece che ai giudici del lavoro.

E’ di ieri la notizia che la Commissione Lavoro della Camera ha approvato le modifiche elaborate per non disattendere le indicazioni del Colle, il quale per il nuovo testo gradiva “un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale”. Tra queste, l’emendamento all’articolo 31 comma 9 presentato dall’onorevole del Pdl Giuliano Cazzola, alleggerisce l’impianto voluto dal governo e sancisce che “la clausola compromissoria non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. Davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell'organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato”. In questo modo, la clausola compromissoria con cui il lavoratore accetta volontariamente di ricorrere a una composizione stragiudiziale del contenzioso potrà essere firmata solo al termine del periodo di prova (ovvero dopo un mese) e non potrà riguardare i licenziamenti.

Certo questa non è una vittoria per quelli che vedevano nel provvedimento governativo una malcelata controriforma del lavoro: l’arbitrato rimane nel testo una possibilità a cui appellarsi e, secondo il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, i 9 emendamenti approvati dalla Commissione Lavoro non sono “sufficienti per cambiare il senso di una legge sbagliata che continua a mantenere punti evidenti di incostituzionalità”.

A onor del vero, sono però diversi i paletti posti alla discrezionalità dell’istituto dell’arbitrato, prima fra tutte la puntualizzazione riguardo il rispetto non solo dei principi generali dell'ordinamento ma pure “dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari”. Secondo i giuslavoristi con questa elaborazione si blindano definitivamente i presupposti dell’articolo 18 e si limita in modo considerevole il futuro ricorso alla pratica della conciliazione arbitrale, che a questo punto non sarebbe più dettata dal principio di equità ma vincolata alle norme e quindi equipollente a quella dei giudici del lavoro.

Un’altra correzione permette poi di saltare un grado di giudizio in caso di impugnazione del lodo emesso dall’arbitro: se il pronunciamento viene considerato illegittimo, si arriva direttamente in Cassazione senza passare dalla Corte d’Appello; cosa che, oltre a snellire i tempi della giustizia, rende definitiva e incontrovertibile l’eventuale sentenza di reintegro.

La questione ora sta tutta nelle modalità e nella frequenza con cui l’arbitrato verrà inserito nelle svariate tipologie di contratto che affollano un mondo del lavoro già esanime. Il prossimo martedì la Commissione Lavoro dovrebbe dare mandato al relatore di riferire in aula e il dibattimento alle Camere comincerà il giorno successivo: secondo gli auspìci degli uomini di governo e secondo le previsioni, non dovrebbero intervenire nuovi emendamenti né ci dovrebbero essere impedimenti al via libera definitivo sul testo approvato ieri.

Nel frattempo la Cgil, sempre più isolata, chiama i suoi alla mobilitazione e fissa per il 26 e il 28 aprile dei presidi nazionali per protestare contro le nuove disposizioni governative, ribadendo la lontananza dalle posizioni espresse nell’accordo siglato dalle parti sociali prima che il Capo dello Stato lo rinviasse alle Camere. Il braccio di ferro sembra però ormai terminato. Confindustria non festeggia, il Quirinale sì. 

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