di Nicola Lillo

L’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, era a conoscenza dei contatti avviati dal Ros dei carabinieri tra Vito Ciancimino e il generale Francesco Delfino. Un altro tassello si aggiunge al mosaico che i pm Nino Di Matteo e Antonio Ingroia stanno cercando di formare. È ripreso, infatti, il processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Muro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss mafioso Bernardo Provenzano nell’ottobre del 1995.

In aula erano attesi l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli e il magistrato ed ex dirigente del Ministero della Giustizia, Liliana Ferraro, collaboratrice di Giovanni Falcone, assente, però, per motivi di salute. I due erano stati citati dopo le dichiarazioni rese in aula da Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, nell’ambito della presunta trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra dopo le stragi del 1992.

Martelli inizia il suo racconto rispondendo alle domande del pm Ingroia, con un breve excursus sul suo mandato, per poi concentrarsi su quanto già aveva detto alla trasmissione Annozero. Dichiarazioni che fecero “sobbalzare dalla sedia” Michele Santoro e Sandro Ruotolo. Il racconto svela che il capitano dell’Arma De Donno incontrò Liliana Ferraro a fine giugno 1992, annunciandole che dopo aver agganciato Massimo Ciancimino, avrebbero potuto incontrare il padre Vito, con l’obiettivo di fermare le stragi. De Donno chiese supporto politico al ministero. La Ferraro aveva già risposto al capitano: “rivolgetevi a Borsellino”. “Il giudice Ferraro poi mi disse - dichiara Martelli - di aver incontrato il capitano dei carabinieri De Donno, il quale le aveva fatto riferimento ad un’azione del Ros destinata a porre fine al periodo stragista”.

L’ex Guardasigilli, venuto a conoscenza della richiesta del Ros, racconta che si adirò “per il rifiuto da parte del Ros di accettare una legge appena varata (quella che istituì la Dia competente su quelle indagini, ndr) e continuavano la loro iniziativa senza giustificazioni, né rispetto della gerarchia competente. La trovai una sorta d’insubordinazione. Io informai subito il capo della Dia, Tavormina, e il ministero dell’Interno”. Chi era il ministro in questione? Martelli non ricorda con precisione. Fino a fine giugno c’era Vincenzo Scotti e il primo luglio s’insediò Nicola Mancino. “Ritengo che fosse Nicola Mancino” conferma poi, precisando anche che “se minimamente avessi avuto sentore di una trattativa l’avrei denunciata pubblicamente”. “Sono convinto che lo scopo del Ros – continua – fosse virtuoso: fermare le stragi, arrestare i latitanti.

Ma il metodo utilizzato, inaccettabile. Ciancimino era uno dei capimafia più pericolosi una delle menti criminali più raffinate in organico a Cosa nostra. Un boss mafioso a tutti gli effetti, tra i più efferati e più pericolosi in virtù del suo inserimento negli ambienti amministrativi e si stava rischiando di dargli un ruolo super partes. Capivo che i carabinieri avevano un rapporto stretto con lui”.

Rivelazioni che mettono un po’ di luce su quei giorni del 1992. Il racconto dell’ex guardasigilli è certamente importante per la Procura. Un riscontro alle parole di Massimo Ciancimino, già querelato da Nicola Mancino, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Quest’ultimo replica a Martelli: “Né Martelli né altri mi parlò mai di contatti con Ciancimino. Ho sempre escluso, e coerentemente escludo anche oggi, che qualcuno, e perciò neppure il ministro Martelli, mi abbia mai parlato della iniziativa del colonnello Mori del Ros di volere avviare contatti con Vito Ciancimino. Ribadisco che, per quanto riguarda la mia responsabilità di ministro dell’Interno, nessuno mi parlò mai di possibili trattative con la mafia”.

“L’on. Martelli - osserva il vice presidente del Csm - fra Scotti e Mancino usa la forma dubitativa: ma se uno non si ricorda bene è inutile fare nomi. Quando la dottoressa Ferraro avrebbe incontrato De Donno si era nel giugno 1992, ed io mi insediai al Viminale l’1 luglio successivo. Con il Ros non avevo alcuna relazione istituzionale e, perciò, non c’era bisogno di dire a me un fatto che poteva interessare, semmai, il ministro della Difesa dell’epoca, da cui il colonnello Mori dipendeva”.

Intanto, mentre alcuni elementi aprono uno squarcio su una parte della storia del nostro Paese ancora poco chiara, è stata recapitata nell’abitazione di Bologna di Massimo Ciancimino una busta con proiettili di kalashnikov e una lettera contro Violante Martelli, Michele Santoro, Spatuzza e i pm Di Matteo Ingroia e Lari.

Il processo verrà aggiornato al prossimo 4 maggio, mentre l'altro ieri è stato nuovamente interrogato il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo. Ascoltato dal Procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal pm Antonino Di Matteo, al termine dell’interrogatorio la Procura di Palermo ha acquisito agli atti il libro “Don Vito, le relazioni segrete tra Stato e mafia nel racconto di un testimone d’eccezione”, scritto a quattro mani dallo stesso Massimo Ciancimino e da Francesco La Licata, giornalista de La Stampa, dove si raccontano i retroscena inediti sulla trattativa tra Stato e Cosa nostra.


 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy