di Nicola Lillo

Talk show sì, talk show no? In uno stato democratico e di diritto la risposta sorgerebbe spontanea. L’Italia, invece, non sembra rientrare pienamente in questa categoria, e il dubbio continua a correre in viale Mazzini. Anzi, più che di dubbio dovrebbe parlarsi di certezza. È di ieri, infatti, la decisione del consiglio di amministrazione della Rai, che ha confermato la sospensione dei talk show politici sulla tv pubblica fino alle prossime elezioni regionali, demandando la decisione alla commissione di Vigilanza. In seguito al ricorso di Sky e La7 contro il regolamento dell'Autorità di garanzia nel periodo della campagna elettorale, il Tar, venerdì scorso, aveva emesso una sentenza pronunciando la sua contrarietà alla decisione assunta dall’Agcom.

Il cda Rai, riunitosi ieri, ha però stabilito che “alla luce delle ordinanze del Tar, in relazione alla regolamentazione in materia di informazione e comunicazione politica in periodo elettorale, il Consiglio di Amministrazione della Rai, dopo un ampio dibattito, ha approvato a maggioranza la delibera con la quale - recita la nota di viale Mazzini - ha dato mandato al Direttore Generale di acquisire al più presto dalla Commissione Parlamentare per l'Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi le valutazioni di competenza, cui la Rai dovrà adeguarsi”. Cinque a quattro e serranda ancora abbassata. Problema, invece, non sorge per le emittenti private.

Intanto il presidente della Rai, Paolo Garimberti, si dice “amareggiato” per l'esito della riunione del Cda. Più critico Bersani: “È una cosa da pazzi in un Paese moderno, occidentale, avanzato che si decida ad un certo punto di spegnere la luce. Questo mi pare assurdo”. Interviene anche Giovanni Floris: “E' una decisione errata. E' una situazione caotica, grottesca, paradossale. Per un giornalista non andare in onda o non scrivere é la cosa peggiore che ci sia”. Anche il segretario generale della Fnsi, Siddi, dice la sua: “Se la decisione della Rai una settimana fa era sciagurata oggi è sciagurata al cubo. Una decisione che priva i cittadini di elementi di conoscenza e apprendimento”.

Interviene immediatamente il direttore generale della Rai, Mauro Masi, che invita la commissione parlamentare di Vigilanza, alla quale è stata affidata la decisione, ad assumere eventuali deliberazioni sulla sospensione dei talk show con “urgenza”. In una nota diretta alla commissione scrive: “Si avverte la necessità di rivolgere formale interpello a Codesta Onorevole Commissione, affinché, a fronte delle pronunce del Tribunale Amministrativo del Lazio e della deliberazione conseguentemente presa dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, assuma le eventuali determinazioni rimesse alla sua funzione politica di indirizzo”.

Sarà quindi Masi a rappresentare oggi alla commissione parlamentare di Vigilanza la situazione che si è creata, per cercare di acquisire le valutazioni dell’organismo parlamentare. Il direttore generale delle Rai ha subito inviato una lettera al presidente della Commissione, Sergio Zavoli, per chiedere chiarimenti sull'applicazione del regolamento sulla par condicio dopo la decisione del Tar del Lazio che ha portato all'annullamento della delibera dell'Agcom. È certo, data la composizione delle commissioni, speculare alla divisione maggioranza e opposizione, che la Vigilanza asseconderà la scelta del cda Rai. Le uniche conseguenze saranno, probabilmente, sanzioni amministrative.

Ma il nocciolo del problema lo tocca uno dei giornalisti che saranno costretti a incrociare le braccia fino alle elezioni (e magari anche dopo). Giovanni Floris, conduttore di Ballarò (uno dei quattro programmi coinvolti, insieme a Porta a Porta, Ultima Parola e Annozero), ha affermato che “il problema è il rapporto tra la Rai e la politica; o meglio, il rapporto tra gli organi di controllo e la politica. Se la politica non è alta e nobile e ci prova, devono essere gli editori e i giornalisti a resistere”. Il riferimento è chiaramente alle indagini in corso nella Procura di Trani.

Lo scoop, messo in luce da Il Fatto Quotidiano, ha evidenziato una commistione tra controllori e politica. Un presidente del Consiglio spesso al telefono con Innocenzi, membro dell’Agcom, e orgoglioso di definirsi un “soldato di Silvio”. Affermazione che stona con il suo ruolo di membro dell’autorità di garanzia nelle telecomunicazioni. Lo stesso premier al telefono con il direttore del Tg1, al suo servizio quando è più necessario. Risultato: tre reti private in mano, influenze (o meglio: ordini) in Rai. Se qualcuno aveva dubbi sul conflitto d’interessi, forse potrà ricredersi. Si aspettano solo le deposizioni delle intercettazioni, per gustarsi meglio le ruffianate e le leccate. E intanto, se qualcuno è costretto a chiudere, quelli coinvolti nell’inchiesta restano al loro posto. D’altronde si sa: chi striscia non inciampa.

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