di Mariavittoria Orsolato

Alla fine gli altarini sono stati scoperti, e mai come ora una locuzione del genere è stata più appropriata. La storia la conosciamo ormai tutti: l’affaire Boffo è scoppiato come una bomba lo scorso 28 agosto, quando il prezzolato neo direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri, accusò in prima pagina il direttore dell’Avvenire di essere “un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia” in virtù di una sentenza risalente all'agosto del 2004, in cui Boffo è stato condannato a pagare una multa di 516 euro a causa di reiterate igiurie e molestie telefoniche. Sei giorni dopo la pubblicazione della velina - di per sé già alquanto datata, dal momento che la prima versione risale al 2005 - Boffo lascia la direzione del giornale dei vescovi senza nemmeno una pacca sulla spalla, ma anzi sollecitato da ben più d’uno di quei porporati che in 20 anni di redazione aveva rispettosamente ossequiato.

Il polverone scatenato da Il Giornale si è chetato nel giro di poco tempo e, sebbene in molti avessero espresso ragionevoli dubbi sulla buone fede delle fonti di Feltri, è stato solo il 4 dicembre che il direttore si è pubblicamente scusato con il collega, titolando un editoriale “Su Boffo scandalo infondato”. Un autogol che a un qualunque giornalista professionista costerebbe come minimo la cancellazione dall’albo - il povero Alberto Castagna, era stato estromesso per molto meno - ma che al grande vecchio di via Negri ha fruttato solo qualche cenno di biasimo.

Sembrava che ormai la storia fosse finita, che questo brutto capitolo di giornalismo fosse definitavamente archiviato negli annali riservati al cattivo gusto. Questo fino ad un paio di giorni fa, quando Feltri è tornato a soffiare sul fuoco della polemica, fornendo a Il Foglio di Giuliano Ferrara l’identikit della famigerata fonte vaticana, rea di aver creato cotanto patatrac: “Una personalità della Chiesa di cui ci si deve fidare istituzionalmente” e di cui “non si poteva perciò dubitare”. Che questa evanescente fonte primaria fosse il direttore dell’organo ufficiale vaticano, l'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, sono stati in molti in questi giorni a ventilarlo.

La ragione di ciò risiederebbe nelle lotte intestine della Curia per l’affermazione delle nuove linee politico-pastorali: da mesi, infatti, sotto il Cupolone si sta consumando un duello serratissimo tra le posizioni progressiste dell’ex presidente della Cei, Camillo Ruini, e quelle più intransigenti del Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone. Proprio lui sarebbe il “Sua Eccellenza” cui era indirizzata la nota informativa giunta nelle mani avide di Feltri; e, se a ciò si aggiunge il fatto che lo stesso Vian firmi da tempo articoli filogovernativi su Il Giornale sotto lo pseudonimo di Diana Alfieri, ben si capirà come mai buona parte dei commentatori abbia individuato nell’anomala coppia le figure papaline tirate in ballo tardivamente da Feltri. Ad ulteriore conferma delle illazioni della carta stampata, arriva poi la secca smentita del cardinale prefetto della Congregazione dei Vescovi, monsignor Giovanni Battista Re, che a La Repubblica bolla le rivelazioni di questi giorni come “una squallida manovra ordita da chissà chi per coprire la vera fonte ispiratrice”.

Trovati i personaggi, resta ora da ricostruire il movente dell’attacco a Boffo. La fonte ispiratrice menzionata da monsignor Re potrebbe essere in realtà un Giano bifronte. Il caso Boffo aveva infatti inevitabilmente evidenziato gli attriti tra Governo e Chiesa, seguiti allo scandalo che aveva coinvolto Berlusconi, la diciottenne Noemi Letizia e una folta schiera di giovani manze orbitanti tra Palazzo Chigi e Villa Certosa. Pare perciò più che plausibile che l’attacco all’ex direttore di Avvenire sia stato in realtà un’azione involontariamente concertata: da una parte il Presidente del Consiglio che aveva organizzato sul giornale di famiglia una macelleria mediatica contro chiunque (dall'ex moglie Veronica, all’alleato Fini, per arrivare anche al Boffo che, rispondendo alle lettere dei suoi confusi lettori, si portava inevitabilmente sulle posizioni dell’opposizione) abbia provato a calcare la mano sulle sue senili frivolezze; dall’altra il Vaticano, che aveva bisogno di rendere credibile l’atteggiamento fin troppo indulgente rivolto ad una figura istituzionale che, per quanto deprecabile negli atteggiamenti, è pur sempre un ottimo ricettacolo di rivendicazioni curiali.

Boffo insomma, con una sola mossa era riuscito a mettersi contro due dei più influenti centri di potere italiani e la nota del casellario giudiziario, pervenuta prima sulle scrivanie di oltre duecento vescovi e poi su quella di Feltri, ha avuto risvolti positivi per entrambe le parti in causa: Boffo si è dimesso lasciando il giornale dei vescovi in mani più malleabili, la Curia ha screditato la fazione Ruiniana rappresentata dall’Avvenire ed ha perciò ampliato lo spazio di manovra del braccio destro di Ratzinger - il segretario Bertone appunto - mentre il nostro caro Padron’ Silvio l’ha sfangata con la solita buona dose di vittimismo.

Allo stato attuale dei fatti è ancora però d'obbligo l'uso del condizionale. Il prossimo 22 febbraio Vittorio Feltri dovrà rispondere all'Ordine dei Giornalisti lombardo sulla sua pessima deontologia professionale, e sarà forse in quella sede che buona parte dell'intricato puzzle potrà risolversi. Per chi invece crede che in questa vicenda non ci sia solo la mano del Vaticano, basteranno le parole con cui l'ex direttore di Il Giornale, Mario Giordano, si accomiatò dai suoi lettori il 21 agosto: "Nelle battaglie politiche non ci siamo mai tirati indietro (...) Ma quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornale, editori, ingegneri, first lady o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E siamo convinti che i lettori de Il Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento delle rispettive alcove". Il timido Giordano aveva deciso di tirarsi indietro, di non avvallare quel gioco sporco in cui lo stesso premier stava sguazzando. Il vecchio Feltri, da brava volpe del giornalismo nostrano, è fatto di tutt'altra pasta.

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