di Nicola Lillo

“L’alternativa per una nuova Italia”. Si è aperto con questo slogan il congresso dell’Italia dei Valori, iniziato il 5 febbraio e terminato ieri con la conferma a presidente del partito di Antonio Di Pietro. Una nuova Italia che, in realtà, sembra conformarsi alla precedente. Vittoria inizialmente scontata per l’ex pm, poi confermata dopo il ritiro dello sfidante Barbato. “Siamo pronti a un altro governo per il Paese. Abbiamo fatto resistenza, resistenza, resistenza che ci voleva a un regime piduista, ma ora siamo alla svolta. Siamo pronti al governo”, ha detto Di Pietro, prendendo la parola dopo la conferma per acclamazione. “La piazza non basta. E' finito il tempo della sterile protesta e comincia quello della grande responsabilità di governo che vogliamo”. Il partito “dovrà ora mettere in campo un'azione politica di contrasto e anche di stimolo al governo”.

Parole che non hanno fatto attendere la risposta polemica di Pier Ferdinando Casini: “L'Italia dei Valori è un macigno su qualsiasi alternativa credibile a Berlusconi. Persino Di Pietro - osserva il leader dell'Udc - si rende conto che la posizione dell'Idv è sterile e non porta da nessuna parte”. Ma oltre ai battibecchi e alle solite “frecciate”, il Congresso ha dato qualche spunto su cui riflettere.

Di Pietro ha ribadito di essere pronto a passare la mano fra qualche anno, ma che in questa fase c'è ancora bisogno della sua leadership: “Sento il dovere di continuare a tenere il timone di questa nave finché non arriva in un porto sicuro. Aiutatemi a portare a questa barca alla riva e, dopo di che, io non vedo l'ora di tornare un po' alla mia masseria”. “Porterò questa nave dell'Italia dei valori - ha aggiunto - insieme ai comandanti delle navi della flotta del centrosinistra al 2013 per riconquistare il governo; dopo, mi chiamate come socio onorario e dovrete fare da soli”.

Quello che ha stupito è stato però il tema regionali. Il leader dell'Italia dei Valori ha ribadito la possibilità di trovare un accordo con Vincenzo De Luca, candidato del Pd alla Regione Campania, a patto che accetti “una serie di paletti”. De Luca, intervenuto al congresso e applauditissimo, afferma: “Non possiamo non combattere insieme questa battaglia”. Il risultato è un ossimoro: l’Italia dei Valori appoggia un candidato due volte rinviato a giudizio per reati gravissimi, cioè concussione, associazione per delinquere, falso e truffa. Sicuramente un errore per Di Pietro, che dopo questa apertura al PD potrebbe perdere un po’ di fiducia da parte dell’elettorato.

E’ frutto di una circostanza che nasce da una situazione di stallo. In Campania, infatti, il Pdl ha avanzato la candidatura di Caldoro, craxiano e non lontano da Cosentino e Cesaro. Il Pd sorregge De Luca, che inizialmente non è appoggiato dall’Idv. Ma, causa fermezza del Partito Democratico nella propria decisione, Di Pietro non ha fatto altro che cadere nel ricatto che gli si poneva dinanzi. O De Luca, o la Campania al Pdl. L’errore dell’opposizione è comunque a monte. I Bassolino, Sandra Mastella e tutti gli scandali sorti negli ultimi anni, non hanno fatto muovere un dito al partito di Bersani. Questo lassismo ha portato alla candidatura di un plurinquisito. Unica voce fuori dal coro dei sì, ululati al congresso, è l'europarlamentare dell'Idv, Luigi De Magistris, secondo il quale “la Campania ha bisogno di altro, non di De Luca”.

Ma l’appuntamento al congresso riserva altri scossoni e, di conseguenza, altre critiche. Gioacchino Genchi, il consulente informatico delle più importanti procure d’Italia (lavorò con Falcone, Borsellino e in ultimo con De Magistris), avrebbe infatti affermato che “nel lancio della statuetta del duomo di Milano a Berlusconi non c'è nulla di vero”. Per poi precisare: “E' evidente che il mio intervento di oggi è stato totalmente frainteso. Le mie parole, infatti, non facevano alcun riferimento alla dinamica dell'attentato e non intendevano affatto metterne in dubbio la veridicità. Mi riferivo, in realtà, a quanto accaduto immediatamente dopo: ovvero, al fatto che la scorta del presidente del Consiglio non abbia provveduto con tempestività e immediatezza ad allontanare il premier da quella situazione di grave pericolo”.

Ma è comunque bufera. Il tema sembra infatti essere un “tabù”, nonostante le voci, i dubbi, i filmati che si sono susseguiti sul web per diversi giorni. Nessuno può parlarne. Ma a rilanciare le sue dichiarazioni è stato, ancora, Luigi De Magistris, per il quale “la magistratura deve fare approfondimenti seri. Come dissi subito - afferma - ci sono aspetti che non mi convincono, ma non credo sia utile aprire una polemica politica. Vero è - aggiunge - che dopo quell'episodio non si è più parlato di vicende di Berlusconi e questa è la cosa grave”.

Risponde pronto il Pdl, con il suo portavoce Daniele Capezzone: “E' inaudito che si sollevino ombre su un attentato che avrebbe potuto uccidere Silvio Berlusconi. Sorge il dubbio che qualcuno desideri un altro caso Tartaglia”. Si accoda Gasparri, che annuncia “un'interrogazione urgente per sapere se il capo della Polizia Antonio Manganelli si avvale ancora della collaborazione di un personaggio del genere nel dipartimento della Pubblica Sicurezza. Se così fosse la cosa sarebbe sconcertante e non priva di conseguenze”.

 

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