di Nicola Lillo

Si torna a parlare di leggi “ad personam”? No. Per il Premier sono solo e soltanto “leggi ad libertatem”. Quattro provvedimenti? No, ora sono diventati cinque, con i quali Berlusconi potrà sentirsi sereno e, a detta sua, essere “finalmente” libero di governare. Libero anche di giocare con la riforma fiscale, necessaria lunedì, urgente martedì, improponibile il mercoledì. L'opposizione gli rimprovera di giocare, ma ritornato sulle barricate dopo la convalescenza di diversi giorni, il Presidente del Consiglio, con un volto più lucente del precedente, parla di riforme. Riprende da dove aveva lasciato il Presidente della Repubblica, Napolitano, durante il discorso di fine anno.

“La riforma della giustizia è a beneficio di tutti. È una tale priorità che bisogna farla in fretta”. Dice bene il Cavaliere. Si, ma di quale riforma parla? È evidente che si sta riferendo alle - da lui rinominate - “leggi ad libertatem” (che di riforma hanno ben poco). Esclusivamente volte, per altro, alla “libertatem suam”. Ma al Premier non interessa altro. “Che ci volete fare - afferma - ogni tre giorni devo occuparmi di un processo, invece dovrei governare, perché i cittadini mi hanno dato questa responsabilità e invece sono costretto a distogliere l’attenzione…”. Come se la colpa di questi processi di cui si deve occupare non fosse sua, ma di quella magistratura politicizzata, che addita quotidianamente.

Berlusconi inciampa poi nel solito errore. Grossolano, anche per uno studente al primo anno di Giurisprudenza, che riguarda la derivazione popolare del suo mandato. Ebbene, bisognerebbe ricordare al nostro Presidente del Consiglio che egli non è stato eletto direttamente dal corpo elettorale. Quella forma di governo si chiama Premierato. In Italia ci troviamo dinanzi ad un governo parlamentare, dove il Presidente della Repubblica nomina il capo dell’Esecutivo, il quale a sua volta deve ottenere la fiducia dalle Camere. Esse sì, elette direttamente ed a suffragio universale dal popolo.

Ma quali sono queste cinque norme, mascherate da riforma della giustizia? Prima fra tutte spicca il ddl processo breve, approdato il 12 gennaio al Senato; rispetto al testo iniziale ci sono state però diverse modifiche. La legge si applica a tutti gli imputati, non solo a quelli incensurati. I reati devono essere inoltre stati commessi fino al 2 maggio 2006. Cambiano anche i tempi dei processi: prescrizione in primo grado dopo 3 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. Dopo 2 anni in appello e dopo 1 anno e mezzo in Cassazione. Per i reati con pene pari o superiori a 10 anni invece si parla di 4, 2 e 1 e mezzo. 5, 3 e 2, invece, per i reti di mafia e terrorismo. Il giudice, peraltro, può prorogare i termini, esclusivamente di un terzo.

La risposta dell'Associazione nazionale dei magistrati è stata immediata: “Metteranno in ginocchio la giustizia - dice il presidente Palamara a SkyTg24 - la cui macchina è già disastrata. Con il processo breve - continua - non si dà giustizia alle vittime del reato, mentre si rischia di dare impunità a chi ha commesso fatti delittuosi”.

La seconda norma “salva premier” sarà in aula il 25 gennaio: il ddl sul legittimo impedimento. Nato da un accordo Udc-Pdl, ha concluso ieri l’esame in commissione Giustizia della Camera. È una legge temporanea. Infatti, la durata dovrebbe essere di 18 mesi, in attesa di un lodo Alfano in salsa costituzionale, o di una legge che ripristini la vecchia immunità parlamentare. Il ddl prevede che sia sempre riconosciuto (fino a sei mesi) al premier e ai ministri il legittimo impedimento a presenziare un processo per impegni che sono “connessi con le funzioni di governo”. Una norma, dunque, provvisoria, in attesa delle altre due “leggi ad libertatem”: la terza e la quarta.

Stiamo parlando della proposta di legge presentata dal senatore Compagna, del Pdl, e dalla senatrice Chiaromonte, del Pd (a dir poco trasversale), che riguarda il ripristino dell’immunità parlamentare, abolita nel 1993. Oggi per indagare un parlamentare il pm ha piena libertà. Sarà però costretto a richiedere l’autorizzazione in caso di provvedimenti restrittivi. Con il ritorno della legge costituzionale abolita, invece, sarebbe necessaria una autorizzazione anche per procedere contro un parlamentare. Creando una immunità assoluta, come la storia di questo istituto dimostra.

La quarta norma è, forse, la ciliegina sulla torta per il Premier: il lodo Alfano in salsa costituzionale. Ossia l’approvazione di una legge costituzionale che riproponga il lodo ritenuto incostituzionale dalla Consulta. Per far ciò Berlusconi ha però bisogno di una maggioranza consistente, che vada al di la della sua coalizione. Le leggi costituzionali, infatti, vengono approvate direttamente se la maggioranza, con doppia lettura Camera e Senato, è dei due terzi. Se, invece, è esclusivamente assoluta, si può fare ricorso al referendum, che evidentemente il Premier non gradisce.

La nostra Carta fondamentale, sottoposta ad un attacco frontale dall’attuale governo, ha già in se tutti gli anticorpi. La Corte Costituzionale può, infatti, ritenere una legge di rango costituzionale incostituzionale. Questo avviene se la legge in discussione è contro i principi supremi dell’ordinamento. In questo caso, l’articolo tre. L’eguaglianza.

Ma non finisce qui. “Last but not least” una norma che “sospenderà fino a 90 giorni quei processi per i quali non è stato concesso di chiedere il rito abbreviato nonostante ci sia stata una nuova contestazione da parte del pm a dibattimento aperto”. Situazione che si è presentata guarda caso nei processi Mills e Mediaset. Necessaria? Forse no, date tutte le altre norme che lo tutelano totalmente.

Infatti, dopo le voci su questa ennesima misura ad personam, nel corso del consiglio dei ministri Silvio Berlusconi avrebbe spiegato ai membri del governo la decisione di non valutare “oggi” il cosiddetto decreto legge “sospendi-processi”. Una misura che era stata giustificata (secondo il Pdl) da una sentenza della Corte Costituzionale del 14 dicembre, la quale ha ritenuto illegittimo l’articolo 517 del codice di procedura penale. Ed era, dunque, dovere di questo governo, provvedere con un intervento immediato (un decreto legge) a questo vuoto normativo. “Oggi”, come ha detto il Premier, non ce n’è bisogno. Ma forse un domani potrà tornare buono.


 

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