di Nicola Lillo

Nella Procura di Crotone si stanno svolgendo indagini che potrebbero dar vita al più grande scandalo che abbia mai coinvolto una compagnia telefonica italiana. Salvatore Cirafici, ex ufficiale dei carabinieri, e attuale capo della sicurezza Wind, é l’uomo che garantisce un uso corretto dei dati personali dei 17 milioni di clienti Wind. Il suo nome emerge già durante l’inchiesta “Why Not” dell’ex pm Luigi De Magistris, all’interno dei tabulati telefonici di alcuni personaggi coinvolti nell’inchiesta. Il consulente del pm, Gioacchino Genchi, ebbe serie difficoltà ad ottenere i tabulati di Cirafici. L’ex ufficiale è agli arresti domiciliari dall’11 dicembre. È indagato per concorso in rivelazione del segreto d’ufficio, favoreggiamento, falso e induzione a rendere false dichiarazioni.

Il pm di Crotone Pierpaolo Bruni ha infatti scoperto un fatto strano: Enrico Grazioli, maggiore dei Carabinieri, sul quale si stava indagando per rivelazione del segreto istruttorio e favoreggiamento, sapeva di essere intercettato. Il sospetto ricade proprio su Cirafici che - afferma la Procura di Crotone -  “è responsabile dell’organizzazione, gestione e adempimento (…) delle richieste di intercettazioni telefoniche, di informazioni e ogni altra prestazione obbligatoria richiesta dall’Autorità Giudiziaria e dalle forze dell’ordine”. Cirafici avrebbe dunque potuto manomettere e creare buchi all’interno delle inchieste di tutta Italia. Ed è lo stesso Grazioli a rivelarlo durante l’interrogatorio, ammettendo di temere per la propria “incolumità personale”.

Cirafici aveva, in ragione del suo ruolo presso la Wind, “la disponibilità di schede telefoniche Wind non intestate e non riconducibili ad alcuno: erano quindi delle schede coperte - afferma Grazioli - pertanto di pressoché impossibile riconducibilità a un soggetto, qualora fosse stata inoltrata specifica richiesta di intestatario da parte dell’Autorità Giudiziaria”. Grazioli continua, aggiungendo elementi sempre più preoccupanti: “Le schede Wind erano state da lui consegnate per l’uso anche a soggetti ricoprenti ruoli istituzionali di primo piano. Quindi, temeva che, con gli accertamenti curati dal consulente Genchi, si potessero svelare e far emergere tali gravi circostanze e le sue relative responsabilità”. “Era chiaro che Cirafici avesse paura di quello che Genchi poteva fare sul suo conto e sul conto di altri che evidentemente erano a lui collegati”.

La situazione del capo della sicurezza Wind è, dunque, sempre più complicata. Inizialmente indagato per aver rivelato, proprio al maggiore Grazioli, che era sottoposto ad intercettazione, con le nuove dichiarazioni dello stesso maggiore si potrebbero aprire nuovi filoni di indagine. Il pm crotonese Bruni s’imbatté in Cirafici durante alcune indagini su Grazioli. Il telefono del maggiore dell’Arma era intercettato e, tra i numeri intercettati, vi era un’utenza Wind. Il pm si rivolse quindi alla Wind, richiedendo a chi fosse intestato quel numero. La risposta della compagnia telefonica fu sconcertante: “Numero disattivo”.

Il fatto insospettì il pm e la polizia giudiziaria; quel numero era stato intercettato e dunque doveva essere sicuramente attivo. Successivamente, all’insistenza della Procura, la Wind fece sapere che l’utenza era intestata a Cirafici. Scrive Bruni: “ Il dato fornito con la prima risposta inviata via e-mail dalla Wind è assolutamente fuorviante, di conseguenza falso. Ma l’inchiesta, già di per se scottante, si arricchisce di un ulteriore particolare, non meno importante, anzi fondamentale.

L’accusa, condotta dal pm Bruni, afferma che Cirafici avrebbe rivelato al maggiore Grazioli che la sua utenza Wind (di Grazioli) era sotto intercettazione da parte della Procura di Crotone. Ma è sorto un problema: Grazioli non utilizzava un’utenza Wind, bensì Telecom. Se dunque la tesi dell’accusa dovesse essere dimostrata, allora la Procura dovrà sciogliere un altro nodo: come poteva il capo della sicurezza Wind, Cirafici, essere a conoscenza che il telefono di Grazioli, affidato ad un’altra utenza, cioè Telecom, fosse sotto controllo? Da chi è venuto a conoscenza dell’attività della Procura?

Il nuovo particolare, che arricchisce e getta maggiore preoccupazione sull’inchiesta, fa pensare a rapporti fra “talpe” ai piani alti, capaci ed in grado di conoscere le indagini, le intercettazioni e rendere note, agli interessati, le attività giudiziarie in corso. Ma le domande da porsi sono: è un caso isolato o siamo di fronte ad un’”associazione”? È il caso di riscrivere i rapporti fra le Procure e i gestori dell’attività telefonica riguardanti le intercettazioni?

Per quel che riguarda la prima domanda non bisogna far altro che aspettare l’esito delle indagini, con la speranza che arrivino ad una conclusione, visti soprattutto i precedenti (vedi Why not e Poseidone dell’ex pm De Magistris). Rispetto alla seconda domanda, la risposta la darà il Parlamento, attualmente “in altre faccende affaccendato”. Ma non c’è da aspettarsi nulla di positivo: a Palazzo Madama ed a Montecitorio le intercettazioni le vogliono proprio eliminare.

 

 

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