di Mariavittoria Orsolato

A Natale siamo tutti più buoni e, dato che il partito dell’amore non poteva essere da meno, sotto l’albero ha lasciato un pensierino per il caro amico Murdoch e la sua Sky. Il presente consta di un abbassamento significativo dei tetti pubblicitari imposti per legge alle pay tv e, se la scusa è la solita dell’adeguamento alle direttive europee in materia di tv e servizi audiovisivi, il reale intento è quello di affondare la concorrenza e favorire le aziende del premier. Secondo quanto stabilito dal Consiglio dei Ministri su proposta del viceministro per lo Sviluppo Economico Paolo Romani, il tetto orario agli spot sulle piattaforme a pagamento dovrebbe gradualmente scendere entro il 2012 dall’attuale 18% al 12%, con un scarto di due punti percentuali ogni anno.

Quello che è già stato ribattezzato “decreto ad aziendam” mira soprattutto a inficiare la raccolta pubblicitaria di Sky, già pesantemente penalizzata dall’aumento dell’Iva al 20%, ed ora costretta a diminuire gli spot da dodici minuti per ora a soli sette minuti per ora. Il provvedimento è indirizzato a tutte le tv a pagamento e interessa effettivamente anche Mediaset Premium, ma i dati pervenuti ad oggi indicano come la piattaforma digitale del Biscione non sia ancora arrivata al 12% della raccolta pubblicitaria e rendono così evidente la maliziosa mossa dell’esecutivo. In soldoni, il decreto “ad aziendam" cerca non solo di evitare che i canali del tycoon australiano danneggino i canali free di Mediaset, ma aggirano anche l’ostacolo della concorrenza con le stesse reti a pagamento del gruppo Berlusconi.

Ma se pensate che sia finita qui, sbagliate. Il disegno di legge del viceministro Romani fa un ulteriore favore a Padron’ Silvio e alla sua Pierprole nel momento in cui rende decisamente più elastiche le soglie tollerate per la raccolta di pubblicità destinata alle trasmissioni in chiaro delle tv private. Grazie ad un azzeccato mix tra spot e telepromozioni, la manovra consentirebbe di incrementare fino al 22% l’affollamento pubblicitario negli orari di prime time, aumentando ulteriormente quella fetta di mercato da 63,8 punti percentuali che le televisioni del premier già si accaparrano. Al comma 2 dell’articolo 37 si legge poi come in occasioni di eventi o manifestazioni sportive sia ora consentito inserire televendite, e nei programmi per bambini superiori ai 30 minuti di durata le interruzioni pubblicitarie salgono da una a due.

Ma c’è di più. In un comma di quattro righe presente al titolo II è possibile constatare come ora le autorizzazioni per le trasmissioni via satellite non debbano più essere elargite dall’Autorità per le Comunicazioni, ma debbano passare direttamente al vaglio del Governo: "L'autorizzazione ai servizi audiovisivi o radiofonici via satellite - si legge nel testo - è rilasciata dal Ministero" e con ciò si intende dire che da ora in poi ogni nuovo competitor che avesse intenzioni di lanciarsi sulle piattaforma satellitare, deve necessariamente ottenere un'autorizzazione dall'esecutivo per essere in grado di trasmettere le proprie offerte di audiovisivi.

Come sempre, insomma, quando si tratta di aiutare gli amici, sono stati inseriti diversi ed eterogenei provvedimenti in un decreto che dovrebbe far adeguare la nostra penisola alle direttive europee; il problema è che per una volta tanto l'Italia era già più che allineata a Bruxelles, dato che la Commissione prevedeva per le televisioni satellitari un tetto massimo del 20%. Pazienza.

L'ultimo ed inatteso regalo che il partito dell'amore lascia sotto l'albero riguarda però la tv di stato e i suoi abbonati: è notizia di qualche giorno fa che il canone Rai subirà un rincaro per il prossimo anno di circa l'1,50%, passando dagli attuali 107 euro a 109 euro. Secondo il solito Paolo Romani la misura è il semplice effetto dell'inflazione programmata, ma sono già in molti - soprattutto tra le associazioni dei consumatori - quelli si fanno baluardo del malcontento degli italiani e piccati replicano che l’aumento in bolletta non è assolutamente proporzionato alla modesta qualità dell’offerta.

Dall’opposizione arriva però un plauso quasi unanime, che si discosta dalla linea del Governo solo nella misura in cui auspica una maggiore lotta all’evasione di quella che ormai possiamo definire a tutti gli effetti una tassa sulla televisione. Una tassa che comprende Minzolini e i suoi fidi editoriali, i programmi con i pacchi abbinati alla lotteria e quegli insulsi reality show che nemmeno Mediaset si sognerebbe di ospitare. Più che un Natale, queste feste saranno ricordate dagli operatori televisivi non afferenti a Cologno Monzese, come una Passione.


 

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