di Cinzia Frassi

"Rifletteremo assieme per individuare regole e procedure per evitare che sui siti si possano inserire inni d’istigazione all'odio e alla violenza che non fanno bene al Paese e a volte configurano addirittura estremi di reato". Sono queste le parole del presidente del Senato, Renato Schifani, che canta vittoria per l’imminente incontro con il responsabile europeo del social network Richard Allan. A seguito delle polemiche attorno alla rete, Schifani, alzando i toni, aveva etichettato Facebook ed i gruppi che ospita, paragonandolo ai gruppi extraparlamentari degli anni '70.

Alle volte configurano addirittura estremi di reato? In questa espressione, ritagliata dalla recente dichiarazione del presidente del Senato, si concentra la questione “Facebook” cavalcata dal governo Berlusconi e segna il peso di una speculazione strisciante. Infatti, nonostante l'attacco frontale al social network e le accuse di prestarsi a dare spazio ad ogni tipo di contributo, non si è detto tutto e nemmeno sono state espresse le vere finalità di tanta polemica.

Fatto sta che ormai siamo quasi al fatto compiuto. Domani è fissato un incontro tra il big dei social network e il governo Berlusconi. Richard Allan parteciperà in conference call alla riunione con il Viminale, alla presenza dei rappresentanti delle società che forniscono servizi di rete, le associazioni di categoria e i delegati del social network. Il presupposto per una collaborazione proficua, diciamo così, sta nelle parole di Allan, che fa sapere di essere disponibile "a discutere ulteriormente con il Presidente Schifani o con chiunque altro del suo staff e di conoscere il suo punto di vista su come noi possiamo agire ancora più efficacemente in futuro". Il presidente del Senato considera la proposta “un passo estremamente costruttivo”. Sarà l’occasione, aggiunge, per riflettere assieme per “individuare delle regole, delle procedure”. Regole e procedure. Ma quali?

Dopo l'aggressione a Silvio Berlusconi, in quel di Milano, il ministro dell’Interno Maroni aveva caldamente reagito, dichiarando l'intenzione di introdurre con la massima urgenza una serie di interventi straordinari finalizzati a controllare il web e le manifestazioni di piazza proponendo un ddl ad hoc, poi nemmeno messo all'ordine del giorno ma in fase di approfondimento da parte del governo. Questo perché dopo l’aggressione un nutrito gruppo di “amici” si era unito virtualmente al gruppo Facebook di Massimo Tartaglia, inneggiando violentemente contro il Presidente del Consiglio. A dargli man forte il rilancio immediato per bocca di Renato Schifani, che nei giorni scorsi ha perfino chiamato in causa la stagione degli anni di piombo riferendosi alle possibilità di aggregazione e pericolo offerte dal social network.

Tutto ciò contribuisce a dare all’opinione pubblica l'impressione che la rete sia uno spazio incontrollato con i caratteri dell'extraterritorialità, dove vige una sorta d’immunità generalizzata. Eppure non c’è luogo - seppur s’insista a dire virtuale - più sotto controllo della rete: pensiamo al traffico internet, alla tracciabilità di Ip e Dns, alle mail che transitano sui server e che vengono sistematicamente controllate o lo possono essere in ogni momento con il lasciapassare dei motivi di controllo anti terrorismo, per esempio. Pensiamo che se circolo senza cellulare per strada, per una città, per il mondo, nessuno sa dove sono, mentre con le tracce che lascia un pc c’è poco da fare, non ci si può nascondere. Altro che virtuale. Questa sensazione d’immunità richiederebbe una risposta pesante, al limite della censura vigente, in vari paesi assolutamente lontani dalla democrazia, come Iran, Cina, Arabia Saudita.

Va sottolineato come invece le condotte che fuori dalla rete configurano ipotesi di reato, sono le stesse che è possibile perseguire in rete. Lo sanno bene coloro che pubblicano contenuti sul web a vario titolo, come ad esempio blogger, amministratori di forum, gestori di siti internet. L'indirizzo IP è una traccia indelebile di ciascun utente, per non parlare della tracciabilità garantita - o garantibile - dai provider che rende possibile qualsiasi investigazione. Pensiamo al filtring cui già sono sottoposti alcuni siti come nel caso di gioco d’azzardo o di pedofilia.

Il tentativo messo in atto, però - e a quanto pare andato a segno date le dichiarazioni di Richard Allan - è quello di poter intervenire laddove non vi siano ipotesi concrete di reato, diffamazione o istigazione a delinquere; per esempio per chiudere un gruppo e soprattutto avere modo di controllare chi a quel gruppo si è associato. Un elenco di nomi, in sostanza. Lì si vuole arrivare per quanto si voglia invece costruire i presupposti che giustifichino interventi molto più pesanti ma soprattutto arbitrari.

Giusto per fare un esempio di ciò che già accade, proprio alcuni giorni fa, proprio su Facebook, è stato oscurato un gruppo che insultava con disprezzo i bambini maltrattati nell’asilo “Cip e Ciop” di Pistoia, dove di recente sono state arrestate in flagranza di reato due educatrici accusate, anche da filmati, di maltrattamenti e percosse ai danni dei piccoli. In questo caso, a seguito della segnalazione del presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, Antonio Marziale, consulente della Commissione parlamentare per l’Infanzia, il gruppo è stato oscurato dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni. Chiuso. Finito. Accade ogni giorno. Giorni fa, in risposta alle dichiarazioni di Schifani, Debbie Frost, portavoce del social network, aveva dichiarato a La Repubblica che “quando le opinioni espresse sul nostro sito si trasformano in dichiarazioni di odio o minacce contro le persone, rimuoviamo i contenuti e possiamo anche chiudere gli account dei responsabili”.

Perfetto. Allora dove sta il problema? Il problema risiede nelle finalità reali, che si tenta di giustificare demonizzando e criminalizzando a priori la rete, o dando di essa proprio questa immagine in modo da poter introdurre una normativa che possa sistematicamente violare la privacy di ogni utente e servire da pozzo di dati personali anche per finalità politiche. Del resto Facebook non ha finalità puramente “sociali”: detiene i dati personali di 350 milioni di utenti e con questi numeri non può essere considerato semplicemente uno spazio per incontrare amici.

Nelle intenzioni del governo pare non ci sia solo la questione legata all'oscuramento di gruppi di Facebook che contengano dichiarazioni ai limiti della legalità, bensì l'introduzione di norme che conferiscono la possibilità di un monitoraggio della rete costante e di perseguibilità degli utenti: in sostanza il social network si sta impegnando con il governo italiano a comunicare, su richiesta, i dati personali degli utenti quando partecipino ad un gruppo giudicato sovversivo, pericoloso, sedizioso. Siamo all'introduzione di reati di opinione. Ciò che si vuole introdurre ha più a che fare quindi con la volontà di arrivare a “monitorare” gli utenti consentendo l'identificazione degli stessi quando facciano parte di gruppi “pericolosi”. Il sapore è quello delle schedature. Quali saranno i gruppi considerati pericolosi e chi stabilirà ciò che si potrà dire?

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