di Mariavittoria Orsolato

Mentre a L’Aquila le scosse sembrano aver dato una tregua ai grandi otto, per il movimento che li contesta i giorni scorsi sono stati un vero e proprio terremoto: ventuno arresti tra Bologna, Padova, Napoli e Torino hanno fatto tremare l’onda studentesca, giusto in tempo per il grande summit internazionale. L’operazione, condotta dalla Digos piemontese e coordinata dalla direzione centrale dell’inquietante Polizia di Prevenzione, è scattata in seguito agli scontri tra studenti e forze dell’ordine che si sono consumati lo scorso 19 maggio in occasione del G8 Univesity Summit, proprio sotto la Mole. I ragazzi, tutti universitari tra i 19 e 30 anni - eccezion fatta per il trentaseienne Max Gallob del Pedro di Padova - sono stati perquisiti e prelevati dalle loro abitazioni all’alba del 6 luglio su sollecitazione del Procuratore Capo di Torino (lo storico giudice antiterrorismo e antimafia, Gian Carlo Caselli) dopo la visione di chilometri di nastro registrati proprio durante i tafferugli in cui sarebbero rimasti feriti 21 agenti. Secondo Caselli, gli scontri erano stati “preorganizzati” e i manifestanti che si sono resi responsabili di quella che il procuratore chiama “un’aggressione alla polizia”, avrebbero agito con un’organizzazione logistica “paramilitare”. I reati imputati sono violenza e minaccia a pubblico ufficiale aggravata, lesioni personali aggravate e violenza privata, classiche imputazioni da piazza che arrivano però tardivamente e non senza sollevare polemiche.

I capi d’accusa dei giovani appartenenti a diverse realtà antagoniste, prevedono infatti l’arresto solamente in caso di flagranza di reato e il fatto che il carcere sia scattato a quasi due mesi dagli avvenimenti, ma soprattutto a soli due giorni dalla manifestazione de L’Aquila (fu La Maddalena), ha ridestato la rabbia sopita degli studenti degli atenei italiani, convinti che questa sia semplicemente una mossa intimidatoria per quietare gli animi dell’onda e del movimento new-global.

Così, nonostante sia luglio e le università siano praticamente spopolate, sono stati migliaia gli studenti scesi nuovamente in piazza a protestare al grido “Liberi tutti, liberi subito!” e i rettorati dei principali atenei, da Bari a Pisa, da Milano a Palermo, sono stati occupati per ribadire che dietro quello scudo di plexiglas - additato da giornalisti e polizia come la micidiale arma dell’onda - c’erano tutti e non solo quei 300 facinorosi indicati dalle immagini di repertorio. Non c’è quindi nessuna “mutazione genetica” della piazza, non c’é un movimento dalla faccia pulita e uno sporco e cattivo, anche se l’informazione prova in tutti i modi a farci credere il contrario.

Su La Stampa, orfana ahinoi di Minzolini, ma non del tutto sprovvista di brillanti penne, un editoriale faceva l’identikit di questi “mutanti”: casco da motociclista allacciato alla cintura, bandane ad occultare i tratti somatici, vestiti rigorosamente neri e immancabili zainetti pieni di chissà quali diavolerie sovversive. Si è poi parlato molto del fantomatico manuale anti-poliziotto, redatto dagli avvocati dei diversi social forum internazionali e distribuito generosamente tra i manifestanti.

Secondo la stampa nostrana, il libricino è una sorta di vademecum per la guerriglia urbana, in cui sono svelati mille e uno trucchi per eludere il lungo braccio della legge; in realtà i contenuti dell’opuscolo sono assolutamente blandi e riguardano soprattutto i casi per cui si può essere perseguibili penalmente, come ad esempio il fatto che uno strattone ad un agente può essere considerato resistenza a pubblico ufficiale. E’ perciò evidente che alla base di queste considerazioni sta la precisa volontà di delegittimare quella che è la protesta, qualunque sia la forma da essa assunta.

La “Spectre” dietro le quinte di questa operazione non ha ancora però una fisionomia chiara e gli stessi studenti sono indecisi su chi puntare l’indice della loro indignazione. Se il Ministro leghista Maroni è l’obiettivo più semplice e perciò meno probabile, tra i ragazzi si comincia a bisbigliare il nome di Massimo D’Alema. Probabilmente sono solo speculazioni dovute alla foga (quantomai bipartisan) di trovare immediatamente un “uomo nero” su cui addossare le responsabilità, ma si dice che l’ormai famoso discorso di un mese fa sulla “scossa” - quella che l’opposizione avrebbe dovuto affrontare all’indomani della rovinosa caduta di Berlusconi causa scandali sessuali e non - non sia stato altro che un avvertimento rivolto alle frange della militanza più intransigente e ortodossa.

Se così fosse - ma davvero è un po’ dura da mandare giù - l’azione disciplinare di Caselli sarebbe un tentativo per scindere, anche dal punto di vista giudiziario, la variegata compagine politica della sinistra: allontanare i duri e puri, distinguerli dalla maggioranza pacifista, innescare una nuova dinamica di lotta che preveda pratiche diverse e probabilmente meno efficaci, in nome di quella moderazione ostentata e inutilmente ostinata che contraddistingue quel che resta del Pd.

Nel frattempo è Roma il centro della protesta anti-G8, in questi due giorni i fermati sono stati 36 di cui 10 immediatamente arrestati. Stamattina si terrà il corteo finale, quello più imponente che chiuderà i 4 giorni di eventi e manifestazioni contro la “shock economy”, l'economia sempre più accentrata, dirigista, antidemocratica, che sta affrontando la crisi nonostante sia essa stessa una delle sue più gravi cause. Nel caso in cui la manifestazione filasse liscia ci si sperticherà le mani acclamando le forze dell’ordine, al contrario sappiamo già che sarà colpa delle solite “mele marce”.

Giusto a titolo informativo, è bene ricordare che le mele marce esistono però anche tra i tutori della legge: i 3 anni e 6 mesi comminati ai 4 assassini in divisa di Federico Aldrovandi, dimostrano abbastanza bene come in Italia il senso di giustizia abbia un’accezione squisitamente personale.


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