di Rosa Ana De Santis

Il dibattito sulla legge che andrà a normare la fine della vita recupera i toni e i metodi di sempre. Torna in auge il proclama di Sacconi e il suo diktat. La squadra al governo si muove in tutta fretta. Palumbo, presidente delle Commissione Affari Sociali alla Camera, non può rimandare oltre. “A costo di lavorare tutta la notte”. E così in una sera bisogna accelerare, prima in agenda c’è il voto sul disegno di legge per le cure palliative, per poi iniziare subito con la legge sulla fine della vita. A colpi di maggioranza. Le cure palliative e il diritto all’assistenza dei malati cronici e irreversibili dovrebbero stare molto a cuore a chi ha impugnato le bandiere della vita e del rispetto della persona. Il lavoro del governo sulle terapie del dolore era invece fermo da mesi in Commissione. L’accusa che ispira la maratona improvvisa di Palumbo è che l’opposizione stia facendo pietoso ostruzionismo per ritardare la discussione sul testamento biologico e che pretestuose siano le polemiche sul ddl delle cure palliative. La maggioranza quindi rompe il patto e mette all’ordine del giorno la prima relazione sul testamento biologico, mentre nell’agenda di luglio dell’aula non c’è traccia delle cure palliative.

Livia Turco, capogruppo PD nella Commissione Affari Sociali della Camera, vede la volontà di stringere su una legge che stava a cuore all’anima del governo così com’era, nelle sue limitazioni illiberali all’esercizio dell’autodeterminazione. Finiscono male i buoni propositi del dialogo, della trasversalità degli argomenti, dello studio per approfondire quegli spazi del testo di legge sibillini o troppo aperti, o poco chiari. Per non parlare poi della dichiarazione anticipata di trattamento e di quante e quali precisazioni mancassero in termini medici.

Nei salotti di Vespa, nei giorni del caso Englaro, le parole del governo, dopo l’omelia di Sacconi e i suoi effetti collaterali, andavano timidamente nella direzione dell’apertura, del lavoro di concerto. Le parole del sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, facevano riporre anche solo un po’ di fiducia che su un tema tanto intimo e difficile davvero potessero venir meno i toni dello scontro ideologico o delle scorciatoie di fede. Ma tutti sono tornati a fare il proprio lavoro. E nessuno della maggioranza ha avuto davvero il proposito di pensare a un metodo di lavoro diverso. Le parole del capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto avevano già fatto capire che la legge uscita dal Senato non sarebbe mai stata cambiata nel suo impianto generale. Inutile quindi le discussioni e i lavori alla Camera, se a colpi di maggioranza si può decidere indisturbati della vita di tutti. Quello che è insopportabile su mille altri argomenti, diventa ignobile quando di mezzo c’è la sofferenza, ci sono storie, c’è il rispetto della volontà personale.

E’ rimasto quasi da solo Ignazio Marino a ricordare che la grande assente dal dibattito sul Ddl del testamento biologico è stata proprio la scienza e l’art. 32 della Costituzione che ribadisce il diritto, non dovere, alle terapie. Quell’atto di volontà che basta da solo a sottoscrivere un testamento sulla fine della propria esistenza. Il Pdl risponde con il repertorio di retorica che invoca la deriva dell’eutanasia e l’ideologia dell’audoterminazione, cosi la definisce la senatrice del Pdl Bianconi. E insieme a lei buona parte del Partito delle Libertà. Una strana coalizione che cavalca la libertà nelle sue letture più volgari e deteriori e ne smarrisce totalmente il senso quando deve attingerla da quel patrimonio di pensiero liberale e anti-comunista cui dichiara solennemente di ispirarsi. Con questa legge, per tutta risposta, si benedice uno statalismo feroce sulla vita dei cittadini, cui fa da contraltare un innamoramento per la mano invisibile del mercato.

Ora che il rumore dei media è passato e la vicenda di Eluana, così chiara alla coscienza dell’opinione pubblica, è conclusa, si può tornare a toccare, in clandestinità, la vita delle persone. Si può limitarne la libertà. Si può deciderne il corso e la fine. Nottetempo, magari da carbonari, solo da ladri. La gravità dell’accanimento della maggioranza su una legge che non salvaguarderà la libertà di tutti, che ragionerà secondo priorità di partito o di morali religiose, è un fatto politico di assoluta gravità. Chissà se il referendum abrogativo, invocato da Italia dei Valori, potrà dare ragione di un orientamento diverso dell’opinione pubblica? Quello che non ha capito la compagine principale della politica italiana è che legiferare sulla vita non potrà diventare mai una questione di numeri, di maggioranza di coscienze o di fedeli. Quante persone vogliono l’eutanasia, quante no. Quante donne abortiscono, quante no. Quanti vogliono rimanere come Eluana per sempre, quanti no. Temi di questa natura sono concentrati in una sfera di diritti inalienabili che non sono negoziabili mai, misurabili neppure. Questo dovrebbe essere il codice genetico di una democrazia.

Se all’impreparazione poi aggiungiamo la menzogna, la storia si complica ulteriormente. Se i paladini della dignità della persona, della malattia, della vita degna di essere vissuta sempre, danno il corso a una legge che è priva di fondi, una legge fantasma sulle terapie dei malati cronici e irreversibili, per poter passare in fretta alla promessa fatta al Vaticano, allora salta ogni possibilità di mediazione. E’ questa infatti l’accusa mossa da Livia Turco. La legge per le cure palliative, per imposizione di Tremonti, non ha un centesimo. Si difende la Roccella parlando di un finanziamento che esiste, ma che non è il solito tradizionale. Sarà il solito teorema della finanza creativa?

E’ nei fatti un’accelerazione aggressiva per riprendere il discorso interrotto dopo la vicenda Englaro, e il dato che, ad oggi, la legge sulle cure palliative sia poco più di una promessa ne è purtroppo una dolorosa conferma. Loro, sono sempre gli stessi che parlavano di persone e dignità, di rispetto e libertà, ma proprio non potevano esimersi dal volere Eluana privata della libertà e mettere suo padre tra i peccatori candidati al perdono. Ieri. Domani tra gli imputati.

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