di Mario Braconi

Il 7 maggio tre carrette del mare vengono intercettate mentre ancora sono in acque territoriali libiche. I 227 migranti, tra cui 41 donne (tre in gravidanza), e 3 bambini che si trovano a bordo delle barche, vengono caricati sulle motovedette della Guardia di Finanza e della Capitaneria di porto italiane e riaccompagnati in Libia, il paese da cui sono partiti. Un’azione vile, che scatena indignate proteste delle più importanti associazioni di tutela dei diritti umani, dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del Consiglio Europeo e della chiesa cattolica. Al generale sconcerto il ministro degli Interni Roberto Maroni risponde con palpabile esaltazione, definendo l’azione in mare degli Italiani un risultato “storico”; finalmente un “successo” mediatico da celebrare dopo le sonore bocciature subite da tutti i provvedimenti anti-immigrazione da lui stesso ideati: quelli, per intenderci, disegnati per trasformare medici e presidi di scuola in delatori. Coglie nel segno Thomas Hammarberg, Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, quando definisce questo atto “triste”; e tristi si devono essersi sentiti gli agenti dello Stato comandati ad eseguirlo (alcuni dei quali hanno rivelato ad un cronista il loro imbarazzo nell’eseguire ordini tanto lontani dalla legge, scritta e non). Va detto che il respingimento fuori dalle acque territoriali nazionali (un inedito assoluto su cui si cimenteranno esperti in legge) non sarebbe stato possibile senza la connivenza della Libia, che, per la prima volta, come sostiene eccitatissimo il ministro italiano, ha accettato di “prendere cittadini non libici ma provenienti dalla Libia” - evidentemente questo verbo applicato a esseri umani è una forma di uso comune in certi ambienti.

Sostiene il ministro degli Interni italiano che, poiché gli immigranti sono stati bloccati e riaccompagnati da dove sono partiti prima di raggiungere il nostro Paese, il diritto internazionale non è stato violato. Niente di più falso. Il respingimento operato dal governo italiano rappresenta il trionfo dell’arbitrio sulla legge: per dire, l’art. 33 della Convenzione di Ginevra prevede che “nessuno Stato Contraente espella o respinga, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

Ancora: il Testo Unico italiano sull’Immigrazione recita, tra l’altro: “Le disposizioni relative al respingimento non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari” (art. 10). Ancora, “In nessun caso può disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.” (art. 19). L’articolo 19 prevede inoltre l’esplicito divieto di espulsione degli stranieri minori di anni 18 e delle donne in stato di gravidanza.

Secondo Maroni, intercettare le carrette del mare in territorio non italiano è un utile “tana libera tutti” per il governo italiano. Grazie a questo penoso escamotage, esso si autoassolverebbe da due obblighi che invece gravano sul suo capo: accertarsi delle condizioni di salute dei migranti e verificare se tra essi vi siano delle persone che hanno titoli per richiedere asilo politico. La battuta con la quale in conferenza stampa il ministro risponde al cronista è agghiacciante quanto chiarificatrice: “Il respingimento dei clandestini prima che mettano piede nel territorio italiano prescinde dai motivi per cui questi sono venuti: l’asilo non può essere una preoccupazione per il nostro governo”.

Loris De Filippi, direttore di Medici Senza Frontiere Italia, la pensa in modo diametralmente opposto. Secondo la ONG, non solo rimpatriare persone senza averle identificate e senza consentir loro l’accesso alle procedure di asilo politico è un comportamento “illegale”; non solo “l’allontanamento di persone dall’Italia, direttamente dal mare, senza aver dato loro un minimo di assistenza medica a terra è contrario ai principi umanitari”; ma, poiché la Libia non ha aderito alla Convenzione per i Diritti Umani di Ginevra, consegnare i migranti alle sue autorità “è una decisione che potrebbe tradursi in una seria minaccia per la loro vita”. Dato che è impossibile prenderla per il suo senso letterale, rimane il dubbio su come interpretare la frase del Ministro, secondo cui “gli immigrati respinti torneranno in Libia dove le organizzazioni presenti verificheranno se ci sono richieste di asilo”: che si tratti dell’ennesima battuta di cattivo gusto del circo berlusconiano?

Alla condanna di Medici Senza Frontiere si sono affiancate anche quelle dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU, di Save The Childen e di Terres des Hommes Italia. La nuova “dottrina italiana” sull’immigrazione è riuscita perfino a far ritrovare CEI e radicali per una volta sullo stesso lato della barricata. Eppure Roberto Maroni persiste nella sua celebrazione di quella che è a tutti gli effetti una pagina politica da dimenticare; anzi ne approfitta per confermare che stanno continuando i respingimenti (il numero dei potenziali clandestini respinti è infatti salito a 500 persone in poche ore).

Non che l’opposizione abbia reagito in modo compatto: Fassino (responsabile esteri del Partito Democratico) ai microfoni di Radio 24, dichiara ad un Ferrara gongolante che non se la sente di condannare il respingimento degli immigrati; sembra che il partito democratico proprio non riesca a star lontano dagli autogol. Nel fine settimana poi, a dare manforte a Maroni arriva nientemeno che il Grande Capo in persona: il “papi” nazionale, forse preoccupato dei sondaggi sulle intenzioni di voto, secondo cui la Lega alle Europee potrebbe arrivare al 10% dei consensi, rompe gli indugi, sposando quello che Le Monde definisce il “fronte securitario” e, sforzandosi di dare un minimo di articolazione ideologica agli incomprensibili mugugni del partito dei lùmbard, spiega che “l'idea della sinistra era ed è quella di un’Italia multietnica. La nostra idea non è così”.

Se trascuriamo il contenuto razzista, il linguaggio incerto e l’incredibile assunto implicito secondo cui una qualche forma di pensiero razionale informi l’azione di governo, sia pure partendo da principi odiosi, quello di Berlusconi è pur sempre un outing; l’agenda politica di questa destra, se non razzista, è certamente tollerante o per lo meno compatibile con gli atteggiamenti intolleranti. E’ utile che tutti, fan e avversari politici del Cavaliere, si rendano conto una volta di più di chi hanno di fronte: la chiarezza, anche quando è dolorosa, ristora. Del resto, come nota The Indipendent, “il naso populista del premier gli dice che in Italia, un po’ di xenofobia in questo momento potrebbe fare miracoli. Qualsiasi piccolo calo di popolarità causato dal “fattore Veronica” potrebbe risultarne bilanciato”. Analisi impietosa ma piuttosto credibile.

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