di Rosa Ana de Santis

Nei giorni scorsi aveva fatto il giro del web e della carta stampata l’appello, inviato alle massime autorità, di Paolo Ravasin. Le parole di un uomo in un filo di voce, soffocato da una malattia cronica e progressiva come la SLA, hanno ricordato allo Stato e alla Chiesa di non potersi sostituire alla libera scelta di ognuno. Nelle sue direttive anticipate Ravasin aveva espresso la libera scelta e volontà di non essere alimentato e idratato a forza, una volta divenuto incapace di farlo autonomamente e in modo naturale. Un testamento che rischia di diventare carta straccia nel percorso che sta facendo in Parlamento il testo di legge Calabrò e che ha visto in Senato la sua ufficiale approvazione. Un obbligo alla vita, così come lo Stato la pensa e la intende, che tracima ogni limite e svilisce di valore il rispetto della libertà personale. Nonostante la risposta del Presidente della Repubblica, pacata e prudente come non poteva non essere, ma ferma sulla considerazione della libertà di scelta, sembrano non esserci spiragli per la tutela di persone come Ravasin. Già sul caso Englaro, Napoletano, in più occasioni, aveva invitato le istituzioni a ritrovare la misura e il contegno nel rispetto di una vicenda umana così drammatica e complessa, senza cadere in facili e violente battaglie di fede o, peggio ancora, di partito. Il Presidente da subito aveva segnalato l’urgenza di regolare sul piano politico e legislativo la fine della vita, interpretando i passi della magistratura sulla vicenda di Eluana non come un’indebita intromissione, ma piuttosto come la denuncia di un ritardo grave da parte delle Istituzioni.

Un richiamo alla lucidità dell’analisi politica che è destinata a rimanere infruttuosa se, ancora oggi, nelle parole del sottosegretario del Welfare, Eugenia Roccella - intervenuta ad un convegno organizzato dai cristiano riformisti a palazzo Marini il 27 aprile - la morte di Eluana viene grossolanamente legata all’arroganza del potere della magistratura ai danni della politica. Una lettura che, banalmente, oltre a confondere le cause con gli effetti, mistifica i dati per giustificare l’ ansia - tutta improvvisa - di legiferare che circola in fronde ben precise del Parlamento, a sprezzo delle divisioni e contestazioni, delle tavole di studio multidisciplinare ancora aperte sul tema, con in mente il solo scopo di evitare altre scelte di libertà come quella di Eluana.

Il walzer delle parole con cui viene spiegato al grande pubblico il testo di legge sul testamento biologico, così come è formulato, nella speranza di spacciarlo per una legge che salvaguarderà la libertà di tutti, non è altro che quel gioco sleale di termini e argomenti che Ravasin, citando Welby, ha chiesto alla politica di risparmiare alle vite sofferenti come la sua. Diceva Piergiorgio Welby “Io credo che si possa per ragioni di fede o di potere giocare con le parole, ma non credo che per le stesse ragioni si possa giocare con la vita e il dolore altrui".

Non serve riprendersi le varie interrogazioni parlamentari o seguire con precisioni gli interventi per essere consapevoli di quanto tutto questo stia purtroppo accadendo. Basta guardare l’ultimo “Porta a Porta” ed ascoltare le parole di un Quagliarello o della pia Roccella per misurare la confusione, nonché i tentativi ridicoli utilizzati per occultare la natura di una legge che vuole negare una completa scelta di libertà sulla propria morte, che vuole affidare allo Stato l’autorizzazione finale e decisiva sulla vita da vivere e su come non si possa morire, espropriando di ogni proprietà e decisione chi quella vita la vive, non più per sé, ma per lo Stato.

Non siamo più nemmeno alla tesi di non scontentare la Chiesa (tesi troppo debole per un paese formalmente laico) ma siamo al principio dello Stato etico che può decidere nel merito della singola esistenza. Comminare ammende per i suicidi sopravvissuti potrebbe essere la migliore appendice a questa straordinaria legge. Saranno certamente contenti, effetto collaterale non voluto, i cattolici, appena appena infastiditi da chi potrà - secondo la legge - rifiutare l’accanimento terapeutico non accettando di sostenere un martirio senza speranza, in nome di dio.

Se solo i cattolici e i loro scudieri in Parlamento vedessero l’anomalia di un ragionamento fatto a metà e senza coerenza, quello secondo il quale sostengono il rispetto assoluto del corso della natura contro ogni tecnica medica con cui l’uomo interviene per alterarla a sua volontà, salvo poi dimenticarsene totalmente quando si ragione della morte. Sono vietate alcune modalità di fecondazione assistita, selezionare gli embrioni tra malati e sani, congelarli per fini terapeutici, suscettibile di mille cavilli e proibizioni la possibilità di abortire, quando si vuole interrompere il naturale concepimento. Diventa invece normale giustificare un tubo naso-gastrico, legato a siringhe e pompe di lavaggio, infilato con un taglio chirurgico nello stomaco del paziente che naturalmente non mangerebbe, né berrebbe più avvicinandosi naturalmente alla morte.

Cosa c’è della natura - che dio vuole - in questa vita artificialmente sospesa, verrebbe da chiedere ai preti e ai vaticanisti, a chi ha votato la legge secondo la coscienza della fede e l’incubo di riconoscere la piena autodeterminazione dei cittadini? Quanto è strana questa natura bifronte, questa volontà dell’uomo ora aggressiva, ora legittima? A guardare bene viene il sospetto che faccia paura al potere di certa cultura e di certa politica che le persone non accettino più sofferenze che non hanno speranza, che sia diffuso il coraggio di volere una vita o non volerla così come la capacità di non delegare ad alcuno quel potere che è nostro o di dio, ma di nessuno dei suoi presunti rappresentanti.

Oltre alla fallacia degli argomenti morali invocati dai religiosi dei partiti, c’è una malcelata intolleranza a riconoscere il diritto di ognuno di decidere su di sé e per sé. Chi vuole convincerci che l’alimentazione e l’idratazione forzata non saranno obbligatorie, che le malattie degenerative come la SLA si conoscono e si possono prevedere negli sviluppi che hanno, non vuole dirci che così sarà finché Ravasin sarà ancora in grado di esprimere le sue volontà e di mantenersi in uno stato di coscienza. Questo per rispondere alle cuciture dell’ultim’ora di chi spaccia questa legge come migliore mediazione tra le diverse posizioni.

Un sofisma di basso valore per non dire invece che un domani, in stato d’incoscienza, con un fiduciario che avrà perso il suo pieno valore, un medico obbligherà per legge un uomo ad essere alimentato e idratato. Negando valore alla libertà espressa in un testamento depositato quando era capace di intendere e volere, rallegrando i fedeli che aspettano i miracolo e facendo di un‘esistenza privata una proprietà dello Stato e delle sue leggi, disponibile a tutti, preti e partiti, dio e santi. A tutti tranne all’uomo che l’ha vissuta.

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