di Rosa Ana De Santis

Il Presidente del Consiglio, dalla notte del terremoto, è in continuo, frenetico viaggio tra Roma e l’Aquila. Lascia il Palazzo per raggiungere le scene del dramma. Si divide tra gli edifici sbriciolati e le storie di chi è rimasto in agonia tra quelle rovine. Acclamato, ancora atteso dalle poche anime sopravvissute di Onna, diviso tra le telefonate dei leader stranieri e le richieste di chi ancora si toglie di dosso l’odore del cemento in frammenti. Chi ha dormito in una macchina, chi è in fila per un thè bollente in plastica, lo aspetta con il terrore che si spengano le sigle dei TG sul sisma e piombi tutto il silenzio che conosciamo. Duecentosessanta persone sono morte lì sotto. Per loro saranno funerali di Stato. Loro sono anziani e giovanissimi. Loro erano 16 bambini. E poi il dramma della ricostruzione. Decine di migliaia di sfollati che temono lo sperpero di denaro e gli scandali del caso Irpinia. Che stanno a guardare sgomenti la casa di una vita frullata dalle scosse. Ma Berlusconi promette, rassicura, si fa carico. Capo in pectore dei soccorsi, dei soccorritori, della cittadinanza colpita, dei ricostruttori. E’ sul posto e in prima fila. Non delega. Lui risponde, lui promette, lui progetta. Non ha il tempo di confezionare l’abito istituzionale. E’ scuro e quasi sportivo. Maglietta e giacca in velocità. Icona di un Presidente che esce fuori dal Palazzo, che non sdegna il lutto e non lo tratta da un conferenza stampa, ma si avvicina. Un capo tra le vittime e nelle 31 tendopoli allestite, un capo cantiere che ha già disegnato sulle mappe il nuovo Abruzzo. Lui è lo stesso che aveva in mente l’Italia - come recita il suo libro più famoso - quando, in odore di vittoria elettorale, era addirittura diventato un presidente operaio.

Ora legge davanti alle telecamere il conto corrente per trasformare la gara di aiuti, scattata ovunque, in soldi. Lui con l’occasione non si risparmia e fa anche il volontario. Dice grazie alla straordinaria partecipazione delle organizzazioni, delle chiese e delle amministrazioni locali, ma conferma che la macchina dei soccorsi procede perfetta, al completo di uomini - ben 8.500 - e attrezzature. Lo dice chiaramente, il Presidente, in conferenza stampa all’Aquila: non dorme da 44 ore, ma non si lascia andare al pessimismo. Dice di non aver mai visto un pessimista arrivare a dei buoni risultati. Così, nel solito stile da avanspettacolo, lancia una gara a premi tra le province per ricostruire. Inventa uno spot che ricorda quello delle adozioni a distanza per accettare gli aiuti stranieri. Adotta una chiesa o un bene culturale. Lo dice al suo amico Obama, al primo ministro australiano, a Benjamin Nethanyahu. Anticipa che i monumenti riporteranno targhe e titoli dei paesi donatori.

Quasi non ha tempo per occuparsi di politica. E’ così che tutto quello che accade a Roma, in Parlamento, diventa, con ogni legittimità, lontanissimo. La maggioranza cade sconfitta sulla ricetta meschina delle ronde. La Lega infiocchetta la sconfitta con improbabili diciture di ripiego e, poche ore dopo, risponde mandando il governo sotto sul credito bancario. I messaggi di cordoglio e di partecipazione alla catastrofe degli altri leader diventano così pallidi se accostati al passo del premier. Napolitano arriverà a cose fatte e già decise. Nella sostanza e nelle forme, mai fino a questo punto.

A chi avanza critiche sull’idoneità degli edifici pubblici recenti che hanno seppellito tante vite, a Vendola che chiede spiegazioni su cosa si farà del Ponte sullo Stretto con questo cataclisma in corso, all’ONU che bacchetta il clamoroso ritardo italiano, Berlusconi sembra non avere il tempo di rispondere. Si rincuora piuttosto di aver contato solo 260 vittime, mentre le scene riprese dall’alto facevano temere cifre più importanti. Perché lui funziona così. Sulle scene e sotto i riflettori. Dove non c’è spazio per antagonisti. Per catalizzare bagni di folla quando non c’è tempo, né testa per occuparsi delle ragioni e delle responsabilità e c’è spazio solo per un vento di emozioni. Perché ora non è il momento. Annuncia di aver trovato già 16 milioni per ricostruire la casa dello studente e garantisce "si può immediatamente partire con il progetto di ricostruzione". Non si potrà prescindere da un esame, leggi alla mano, sulle norme antisismiche. Quelle che dovranno esserci e quelle che non c’erano, non nelle antiche case arroccate sulle cime dei paesi, ma negli edifici pubblici come l’Ospedale San Salvatore. Il premier non ha tempo di occuparsi di questo, ma all’ONU non è sfuggito.

Il tallone d’Achille delle catastrofi italiane - viene in mente la scuola di San Giuliano - non è la presenza di leggi, ma la loro applicazione. Ed è su questa linea che il piano case, proposto dal governo non più tardi di qualche giorno fa, mostra e conferma tutta la tentazione italiana di non mettere mano alle vecchie piaghe del paese e di scantonare, quasi per indiscussa eredità. Ma anche su questo nessuno paga il conto. Non ora almeno. Tantomeno lui che, ora infaticabile, lavora per i terremotati d’Abruzzo. Berlusconi raccoglie successo spostandosi interamente su un altro fronte. Quello popolare-populista. La formula vincente tra superattivismo imprenditoriale, vigore del comando assoluto e comunicazione pubblicitaria ha trovato forse, in questo evento così drammatico, la sua vittoria più grande. Quella che supererà i numeri dei voti nelle cabine elettorali. Quella che legherà una stagione e un tempo storico del nostro Paese a un viso e a un brand : l’Italia di Silvio Berlusconi e delle reti Mediaset, quelle che - non a caso - il reality l’hanno inventato per prime.

Il pericoloso vuoto politico che vive l’Italia non è solo in ciò che dice e fa il suo premier, soprattutto ora che c’è da rimettere in piedi una regione e un popolo, ma nel metodo che si sceglie. Il Presidente del Consiglio ha scelto quello che sapeva meglio fare. Quello che rimuove l’analisi delle ragioni e la ricerca delle responsabilità. Quello che boccia i “giudici di ferro”, che pensa spavaldo di poter ignorare il divario con altri modelli di civiltà, pur fregiandosi di andare al G20. Il metodo fuori controllo che può rimandare la politica alla fine dell’emergenza, trasformando in poco più di un’ombra il ruolo politico e istituzionale del proprio incarico, anteponendo l’autoreferenzialità di chi amministra beni pubblici con il contegno di chi cura beni personali. Così mentre ricorda a tutti di essere “uomo del fare”, trasforma in ovvietà una frattura pericolosa e senza precedenti tra politica e governo.

Come se a governare potesse andare anche chi della politica e del suo spirito non sa nulla, né nulla ha vissuto. Entrando in Parlamento come sulle scene di un film e confondendo la vittoria politica con il successo dei riflettori. Fossero anche quelli di una terribile prima visione. La scena di una terra spaccata in due nel cuore dell’Italia.

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