di Mariavittoria Orsolato

C’è voluto un lustro, ma alla fine la famigerata legge 40 sulla procreazione assistita - quella contro cui anche Sabrina Ferilli ci invitava a votare, nel referendum del 2005 - è stata bocciata dalla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta, su segnalazione del Tar del Lazio e del Tribunale di Firenze, hanno preso in esame la legittimità della legge mettendo in discussione soprattutto l’articolo 14, commi 2 e 3. Secondo la sentenza, che dichiara parzialmente illegittima la legge prodotta dall’esecutivo Berlusconi II, nei punti in cui prevede “un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre embrioni” e vieta la crio-conservazione al di fuori di strutture specificatamente deputate, il testo va in contrasto con i principi di tutela della persona e del diritto alla salute espressi nella Costituzione. La legge 40 darebbe infatti adito ad una marcata disparità di trattamento tra le donne che si trovano in particolari condizioni fisiche e necessitano specifiche tecniche d’impianto per la buona riuscita dell’operazione: nel caso di insuccesso del primo impianto, la donna sarebbe infatti costretta a sottoporsi a un successivo trattamento ovarico, ad “alto tasso di pericolosità per la salute fisica e psichica”. C’è poi un punto non trascurabile - quello dell’irrevocabilità del consenso alla fecondazione espresso al primo comma dell’articolo 6 - che sarebbe in contrasto con l'articolo 32 della Costituzione la quale “vieta i trattamenti sanitari obbligatori, se non imposti per legge nel rispetto della dignità umana”. L’obbligo di impiantare gli embrioni una volta dato il proprio consenso alla fecondazione assistita, esclude necessariamente la possibilità di disdire l’impegnativa firmata per attivare la procedura e forza a tutti gli effetti la donna a ricevere gli embrioni nel proprio utero entro 7 giorni.

I giudici hanno quindi avuto di che sbizzarrirsi, tenendo soprattutto in conto il fervore delle parti in causa: dinanzi alla Corte si sono costituite diverse associazioni pro e contro la discussa legge, tra questi la World Association of Reproductive Medicine di Severino Antinori - che ha dato il via alla mozione, rivolgendosi al Tar del Lazio - e la Federazione nazionale dei centri e dei movimenti per la vita. A premere perché la legge non venisse toccata si è aggiunto anche il Governo che, tramite l’avvocatura generale dello Stato, ha consigliato ai giudici di non alterare il testo perché - spiegano - “il legislatore ha effettuato una ragionevole comparazione tra l'interesse della donna al buon esito della procedura di procreazione medicalmente assistita e la tutela dell'embrione”. La Consulta ha comunque propeso verso le ragioni del no e la bocciatura dei togati apre già il sipario sull’ennesimo dibattito che vede al solito sbranarsi presunti santi e inguaribili profani.

Il presidente della Camera Fini in questi giorni pare particolarmente ispirato a valori difformi da quelli del neonato Pdl e, gettandosi immediatamente nel turbinio delle polemiche, ha dichiarato candido che la sentenza della Consulta deve servire da monito generale e che “quando una legge è basata su dogmi etico-religiosi è sempre suscettibile di censura di costituzionalità”. “L’amico Gianfranco” pare essere l’unico nell’Esecutivo a ricordarsi che le istituzioni sono laiche; ne è una prova il fatto che il suo vice, il forzista Maurizio Lupi, ha immediatamente definito “pilatesca” la sentenza della Corte di Cassazione paventando un’improbabile eccidio di embrioni: “Non si capisce che cosa accadrà ora agli embrioni in eccesso. Verranno buttati? - chiede spaventato - la Consulta ha preferito accontentare gli ideologi della provetta, fare finta di niente”.

Dall’opposizione l’unico forte battito di mani arriva dall’Italia dei Valori, visto che il Pd ha ancora qualcosina in sospeso su questi temi. in una nota congiunta Antonio Di Pietro e Antonio Palagiano (capogruppo in Commissione Affari sociali della Camera) si sono rallegrati del fatto che “ancora una volta, i giudici hanno dimostrato di essere più avanti dei legislatori e - continua la nota - che è ora di rimettere mano ad una legge sbagliata per garantire alle coppie italiane le stesse possibilità che hanno le altre nel resto d'Europa”.

Nel frattempo la discriminazione nei confronti delle coppie meno fortunate continua, se si considera il fatto che purtroppo non tutti possono accollarsi economicamente un viaggio all'estero, per realizzare il proprio desiderio di paternità o maternità. C’è però qualcuno che a quest’urgenza non può e non vuole rinunciare perché è affetto da una particolare malattia, ed è pronto ad indebitarsi pur di dare alla luce un erede sano: è il caso raccontato da Caterina Pasolini su La Repubblica, che ha raccolto la testimonianza di Barbara, una donna desiderosa di “un figlio che possa vivere.

Senza la condanna della mia malattia. (…) Siamo sempre di più quelli costretti ad emigrare, a fare i debiti perché in Italia, nonostante medici bravissimi, non sarebbe stato possibile. Perché la legge 40 non rispetta la Costituzione, il diritto alla salute, all'eguaglianza”. C’è chi, come il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, lo chiama “Far West della provetta”, altri preferiscono preconizzare selezioni di memoria hitleriana: a noi piace pensare che sia solo amore materno.

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