di Giovanni Gnazzi

Il cavaliere e i cavalli, più o meno di razza. Consoli, proconsoli, addetti alle lacrime in favore di telecamera e censori in servizio permanente effettivo. Sullo sfondo, buoni al massimo per rispondere a domande idiote di reporter comodi, persone senza più cose. Questo lo spettacolo abruzzese nell’era terza del cavalierato, quella che ha definitivamente sancito la vittoria unica del pensiero unico per il successo del partito unico. Eppure qualcuno ci ha provato, timidamente, con i modi delicati, quasi a volersi scusare di chieder conto. Di chiedere i "perché" e i "come" necessari, procedura obbligatoria per chiarire ogni fatto, ogni accadimento che - voluto o non voluto - determina effetti drammatici sulla vita vissuta, anche quando non va in onda. Perché le domande possono fare molte cose, tra le quali suscitare risposte e ottenere spiegazioni, ma in Abruzzo no, l’Abruzzo a questo non è stato destinato. Lì, il terremoto ha sancito una verità universale: non è vero quello che succede se non è in televisione. Dunque inutile, ozioso, provocatorio e odioso chiedere del “prima”; quel che conta, ciò che è vero, è il "dopo", a telecamere accese. Proprio per questo, tutto si può dire e di tutto si può dubitare, ma non davanti alle telecamere. Dunque Santoro, voce unica contro il palinsesto unico, prende una valanga di rimproveri, di accuse e di sospetti. Grida manzoniane che invocano la censura all’untore. E le vignette di Vauro, solo quelle, diventano oggetto di provvedimenti da parte di Raiset, dove si distingue il manichino impomatato appena insediato, a dimostrare che i favori di cui ha goduto sono un buon investimento. Strano che chi diceva di non toccare la satira quando si trattava di Forattini o delle vignette ignobili sull’Islam sostenga oggi il rogo per le vignette, che è nient’altro che la pena per chi non celebra i fasti dell’imperatore. La tv non è fatta per denunciare o criticare, ma per adulare o addormentare.

E allora vai con le gare di solidarietà, vai con le strade lacerate trasformate in lungomare da passeggio con troupe, gorilla, ministri e giornalisti affabili. Una staffetta indecente di figure inutili. Vai con le lacrime in primo piano e vai con le ospitate da studio, con le discussioni sulle new-town o sulle salvaguardie dei centri storici. Purché non si dica chi, quando, perché; purché non si pongano dubbi sull’operato preventivo della nuova divinità italiana, la Protezione civile. Non si possono porre domande su chi ha costruito, su come l’ha fatto e su chi gli ha dato i permessi. Nessun dubbio su chi doveva vigilare e non l’ha fatto.

Niente domande soprattutto ai ministri delle scampagnate elettorali, con la mano ancora fluida dall’aver apposto firme a tagli di bilancio sull’edilizia scolastica e sui fondi per la protezione civile, tanto per dirne alcune. A Roma tagliano, a L’Aquila promettono. C’è solo il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dice quello che i passeggiatori con faretto e telecamera non dicono. “Hanno contribuito anche comportamenti come lo sprezzo della regole e il disprezzo dell'interesse generale e dell'interesse dei cittadini” che hanno aggravato “il danno e il dolore umano che si è provocato”. Non è un caso che sia l’unico esponente degno di tutte le istituzioni a dire l’unica cosa vera.

I figuranti dell’imperatore, invece, assicurano, consolano, promettono. Pare mancassero i soldi che ora ci sono. Pare mancassero le ispezioni ora puntuali, pare mancassero indagini della magistratura ora annunciate. In un’Italia piegata e rassegnata, che insegue la disperazione dei propri sogni ogni giorno resettati su un gradino più basso, nemmeno l’onore delle armi per la verità trova licenza. Quella verità che racconta di un paese orograficamente a rischio, certo, ma soprattutto politicamente terremotato.

Le macerie della politica giacciono nel fiume delle banalità e delle bugie che si sommano e che ormai quasi non pesano. Ma c’è chi ha perso tutto, chi conta i propri morti, chi si è fidato ed ora paga, chi aveva poco ed ora non ha più niente. Una vita distrutta. Poco prima, purtroppo, dell’arrivo delle telecamere.

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