di Mariavittoria Orsolato

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fa un altro passo e, dopo il “no” alla legge express sul caso Englaro, si cimenta in un secondo sgambetto all’esecutivo della libertà. Nel discorso tenuto ieri a Perugia, in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dell’Università, il capo dello Stato ha rimesso il dito nella piaga dei tagli all’istruzione pubblica, invitando il governo a rivedere i piani di spesa oramai approvati della riforma Gelmini-Tremonti. Sottolineando il contesto nazionale, che è “di straordinaria difficoltà per via della crisi e dei pesi che l'Italia si porta, tra cui l'ingente debito pubblico”, Napolitano ha espresso l’esigenza di salvaguardare il nostro capitale umano evitando “la dispersione di talenti e risultati del nostro sistema scolastico e universitario, che troppo spesso non sono tradotti in occasioni di lavoro e di sviluppo”. Un monito che riapre un dibattito ormai dato per defunto dopo il riflusso natalizio dell’onda studentesca e che riporta ai margini delle cronache un problema, quello della scuola pubblica, che è ben lungi dall’essere risolto con le linee guida dello scarno fascicoletto ministeriale. Un esempio recente è l’annuncio della scomparsa definitiva dell’insegnamento all’utilizzo di internet, nelle ore di informatica alle elementari e alle medie: dal prossimo anno scolastico, il taglio delle compresenze alle primarie e la riduzione delle ore di tecnologia alle medie, renderanno praticamente impossibile l’apprendimento dei rudimenti di informatica e internet, cancellando così uno dei pilastri della precedente riforma Moratti, questo a riprova del fatto che i berluscones hanno le idee molto chiare in fatto di istruzione.

Napolitano invoca infatti “un’accurata politica che sappia tenersi saggiamente in equilibrio tra il rigore della spesa e la necessità dell'investimento lungimirante” e, nel chiudere l’intervento, incassa il fragoroso applauso degli studenti che in un momento separato lo ringraziano perché, “nonostante critiche e pressioni”, si è eretto a paladino della Costituzione. Verrebbe da dire che questo è il dovere di un capo dello Stato, ma poi - vista l’aria che tira - si rischia un procedimento penale. Lo scatto d’orgoglio del presidente della Repubblica ha raccolto il plauso anche dei rettori aderenti all’Aquis (Associazione per la qualità delle università italiane statali) che con Vincenzo Milanesi, magnifico rettore di Padova, ci tengono a ribadire: “Se i tagli dovessero restare, ci sarebbe un rischio Caporetto, uno smantellamento del sistema università in Italia”.

Da palazzo della Minerva non tarda ad arrivare la risposta - oramai talmente trita da risultare quasi lesiva dell’altrui intelligenza - che ribatte il tasto del “taglio intelligente” contro gli sprechi e le brutture del sistema baronale. “E’ nostro dovere amministrativo e morale - ha detto la Gelmini - eliminare gli sprechi e le spese non necessarie accumulate negli anni a causa di gestioni universitarie poco efficaci. Ci sono ampi margini per migliorare le modalità di spesa degli atenei e per destinare fondi alla ricerca e alle università più virtuose”.

A dar man forte alla ministra col portafoglio bucato ci pensa Renato Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione, che dall’alto (sic!) del suo status di professore universitario rimanda le critiche al mittente, vantandosi di aver salvato l’Italia con la manovra finanziaria di luglio: quella famosa ed omonima legge 133, cui il ministro addebita solo 36 dei 1500 miliardi di euro di tagli previsti per il quinquennio 2009-2013 dalla riforma Gelmini-Tremonti. Il buon Renato tiene però a precisare che lo fa “senza alcuna polemica” nei confronti del capo dello Stato. Evidentemente ha le nostre stesse remore.

Al di là del panorama ormai noto, che ci ripropone questo poco inedito scambio di battute istituzionali, il quadro che emerge dall’eminente classifica dei 400 migliori Atenei al mondo (pubblicata annualmente dal The Times) è ben poco consolatorio: solo 7 dei nostri atenei sono in graduatoria e per trovare la prima - l’Alma Mater Studiorum di Bologna - bisogna sprofondare al 192° posto. Non che ci si voglia fossilizzare sulle tanto opinabili quanto snob charts d’oltremanica, ma è un dato di fatto imprescindibile e innegabile che la qualità dell’offerta della nostra Università pubblica siano già oltremodo asfittiche e modeste rispetto alle cugine europee, assolutamente inadeguate rispetto a quelle orientali: chiudere i rubinetti dello Stato - perché è questa la realtà dei fatti - significa abbandonare a sé stessa la fucina di proposte e talenti che dovranno fronteggiare e risolvere quella stesa crisi che impone i tagli. Se se n’è accorto, sebbene in ritardo, anche Napolitano, allora è proprio evidente.

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