di Matteo Selva

La scena è questa: dopo il disastro delle elezioni in Sardegna, Veltroni, assumendosene tutta la responsabilità, lascia la guida del Partito Democratico per dedicarsi alla famiglia. Il coordinamento del partito, anche per l’imminenza di due importanti appuntamenti elettorali, si trova nella condizione di dover decidere se eleggere immediatamente un segretario e fare le primarie ad ottobre, oppure fare le primarie subito. Naturalmente, un partito coeso, di prodiana creazione, sa come affrontare la questione, anche se, come è giusto che sia, al suo interno risulta ancora qualche divergenza: i dalemiani, i rutelliani, i popolari, i bindiani, i lettiani e la parte più a sinistra del Pd vogliono eleggere un segretario subito. Veltroniani, i parisiani e buona parte della base, invece, vogliono fare subito le primarie. “Certo che un partito chiamato a decidere il leader tra Franceschini e Parisi rasenta il ridicolo”, dice Massimo Cacciari, sintetizzando la decisione che l’Assemblea costituente del Pd avrebbe dovuto prendere per il futuro del Partito Democratico. Ma Cacciari, si sa, lo ascoltano in pochi ormai. Alla fine, la votazione dei delegati non sembra proprio una scelta tra i due leader. Dario Franceschini è il nuovo segretario con un risultato quasi plebiscitario: 1.047 preferenze su 1.258 votanti. Arturo Parisi, invece, incassa una doppia sconfitta: sia sulla proposta di andare subito alle primarie, sia nella sfida con Franceschini. Gli stati generali del Pd, dunque, apparentemente scelgono la continuità: “Mi sembra che la linea di Franceschini sia in perfetta continuità con quella di Veltroni”, chiosa Parisi. Punto. La prima assemblea del post-Veltronismo, dunque, delibera che la sola risposta possibile dopo l’uscita di scena di Weltroni è quella della nomina immediata: non di un semplice reggente, ma di un sostituto con pieni poteri che possa guidare il partito nei prossimi mesi traghettandolo fino al congresso di ottobre.

In realtà, letta al contrario, la storia è stata più o meno questa: i veltroniani stringono un accordo sulla candidatura di Franceschini. I parisiani tengono il punto sventolando a più riprese la bandiera delle primarie: “Se non dovesse cambiare nulla mi potrei candidare al congresso di ottobre”, minaccia Parisi. I dalemiani, ottengono la promessa che Franceschini non si candiderà contro Bersani alle primarie di ottobre e decidono per il vice di Veltroni. I popolari gioiscono per uno di loro come segretario del Pd, anche se a termine. I rutelliani e la sinistra, quando sono in pericolo, una convergenza la trovano sempre. Presenti alla Fiera di Roma, sede dell’Assemblea Costituente: 1229 dei 2800 delegati Pd eletti nel 2007.

Questo è il Partito Democratico che Franceschini si troverà a guidare da qui a ottobre, passando per le elezioni amministrative e per le Europee. Questo è il partito Democratico che Veltroni ha guidato fino alla sconfitta di Soru. Differenze non se ne vedono molte. Ha detto bene il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, subito dopo l’abbandono di Veltroni: “Si dica ciò che il Pd pensa e qual è la linea sulle diverse questioni. Per semplificare: il Pd sta con Beppino Englaro o con quello che suggerisce la gerarchia ecclesiastica? Si sta con i cortei della Cgil oppure si va ai tavoli della Cisl? In Europa si va con il gruppo socialista o con chi?”.

Il nuovo segretario Franceschini, da parte sua, nel discorso dopo l’elezione cita valori come la Costituzione, la Resistenza, la laicità dello Stato, ma, soprattutto, chiarisce immediatamente: “Il Pd non entrerà nel Pse, ma non potrà mai stare in un luogo dove non ci sono i socialisti europei”. Verrebbe da chiedere: in che senso, segretario?

La sfida del Partito Democratico, dunque, continua ad essere quella della ricerca di un’identità precisa, passando per una strada che, se anche dolorosa, dovrà tendere all’esclusione di chi non si riconosca in ciò che sarà il suo manifesto. La sfida del nuovo segretario, invece, dovrà chiarire di quale politica il Partito Democratico del futuro si dovrà fare portavoce, smettendola di pensare che il collante di tutto sia l’ormai logoro anti-berlusconismo, come del resto sarebbe davvero un tragico errore pensare ad una opposizione che della presenza di Berlusconi non tenesse conto. Franceschini, comunque, indipendentemente dall’annunciata determinazione nella conduzione del partito, sa benissimo che il profilo identitario - e perciò politico - sarà materia di dibattito congressuale. A lui, però, spetta la scelta di un’indicazione di prospettiva in assenza della quale, si ritroverebbe ad aver svolto un semplice ruolo di traghettatore.

Non sarà facile e non è detto che il confronto interno sia riconducibile a sintesi. Così come non sembra destinata ad un futuro la sopravvivenza delle coalizioni con la sinistra che governano le amministrazioni locali. Per alcuni commentatori la vittoria del cattolico Matteo Renzi (ex Margherita) nelle primarie fiorentine contro la nomenklatura del Pd, è un preciso segnale di svolta che arriva dalla base, anche se questo segnale può esso stesso generare ancora più confusione, proprio per l’incompleta costruzione identitaria del Pd. Per i Verdi, “Matteo Renzi è profondamente impregnato di cultura berlusconiana. Nella sua campagna per le primarie non ha fatto alcun accenno alle radici antifasciste di Firenze, alla profonda differenza tra centro-sinistra e berlusconismo, alle priorità ambientali nella direzione dello sviluppo”; questo si legge nel comunicato con il quale il Sole che ride rompe l’alleanza con il Pd a Firenze.

Non sembrano avere del tutto torto il movimento guidato da Grazia Francescato: il Partito Democratico, come appare chiaro, soffre ancora di una costruzione che a tutt’oggi é la semplice somma algebrica di ex-Ds ed ex Margherita. Somma che però pare essere superata proprio dal passaggio di consegne da Veltroni a Franceschini: per la prima volta nella travagliata storia politica di quello che fu il maggior partito della sinistra, non c’è più un leader proveniente dal Pci alla sua guida. Sì, perché il Partito Democratico, è il caso di ricordarlo, è ancora un partito di centro-sinistra. Con o senza trattino, fa poca differenza. Anche perché Franceschini si ferma prima del trattino.

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