di Mariavittoria Orsolato

Nonostante le continue rassicurazioni del nostro premier a 32 denti, è innegabile che in questo momento la crisi economica sia ben più di uno spauracchio da esorcizzare con le compere natalizie delle omologhe della casalinga di Voghera. Dopo la social card e il salvataggio di Alitalia è giunta ora che il Governo batta cassa e lo sa bene il Ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, che dopo i battibecchi per l’aumento di tassazione per 4.700.000 utenti Sky, ha deciso di istituire un nuovo dazio su tutto ciò che è concernente la pornografia, promettendo di scontentare ben più di 4.700.000 utenti. Nel piano anticrisi varato lo scorso 28 novembre dal consiglio del ministri, si può infatti leggere, all’articolo 31, che chiunque produce “un’opera letteraria, teatrale e cinematografica, audiovisiva e multimediale, anche realizzata o riprodotta su formato telematico e cartaceo, in cui siano presenti immagini o scene contenenti atti sessuali espliciti e non simulati da adulti consenzienti” dovrà pagare un’addizionale del 25% sui redditi che ne derivano. La stangata al mondo del porno non è una novità a Palazzo Chigi: partorita dall’allora deputato forzista Vittorio Emanuele Falsitta, venne ripescata nella finanziaria 2005 da Daniela Santanchè ma non fu mai applicata, fino ad oggi, momento in cui le case di produzione e i distributori di materiale hard in Italia dovranno versare al Fisco il 120% in più. Un vero e proprio accanimento, dunque, verso un settore che è sì florido, ma solo nella fruizione. Con l’avvento di Internet, il mercato del sesso in chiaro ha trovato la sua nicchia dove accomodarsi e attrarre milioni di utenti ben contenti di non doversi recare a un sexy-shop o peggio ancora all’edicola comunale, visto che siamo in Italia e anche il più liberal dei liberal arrossirebbe, se beccato in flagranza di ricerca pornografica.

Oltre ad essere ormai fruibili in massa, questi contenuti hanno il valore aggiunto di essere completamente gratuiti: l’apertura di siti “free” come Youporn o Pornotube - in palese assonanza con Youtube - in cui sono gli stessi utenti a caricare video amatoriali o addirittura interi film, ha sancito un passo avanti nella produzione di materiale pornografico e sta cominciando a scalfire in modo incisivo il mercato della cosiddetta pornografia commerciale.

In molte le voci note del mondo a luci a rossi a levarsi contro il nuovo provvedimento dell’esecutivo Berlusconi. Da Tinto Brass a Rocco Siffredi, il giudizio negativo è unanime e per Eva Henger - ex pornostar ora riabilitata dalle tv del biscione - è addirittura “una tassa ipocrita perchè il porno non si potrebbe nemmeno produrre”. E qui scatta la vera notizia shock: nonostante le apparenze, l’ungherese Eva Henger conosce molto più di Tremonti la legislazione italiana e sa che, per effetto di leggi risalenti al Ventennio fascista, la pornografia in Italia è illegale. In molti potrebbero restare sbigottiti, ma per quanto concerne la giustizia italiana la pornografia è soltanto tollerata: nel corso degli anni alcune sentenze di Cassazione hanno infatti ampliato il concetto di “comune senso del pudore”, arrivando a stabilire che quest’ultimo non possa essere offeso nel caso in cui la pornografia sia relegata a esercizi vietati a minori, autorizzando così l’apertura di attività commerciali ma non andando oltre.

Ne consegue che il mercato dell’hard è stato completamente deregolamentato, probabilmente in seno alla proverbiale riluttanza con cui la politica parla e tratta di qualsivoglia argomento riguardi l’arbitrarietà e risulti contrario ai sani principi della morale cattolica. Lo vediamo in tutta la sua drammaticità con le delicatissime questioni del testamento biologico e della procreazione assistita, figuriamoci se si tratta di banale pornografia!

Il regista Lucas Kazan - italiano ma trapiantato negli States - intervistato da gaynews.it afferma infatti di voler pagare volentieri la nuova tassa: “Purché, in cambio, la legge tuteli il mio lavoro. La Lucas Kazan Productions ha sede a Los Angeles ed è tutelata da una legislazione che stabilisce con chiarezza i doveri, come le tasse da pagare o le verifiche relative all'età dei modelli, ma anche i diritti di chi produce nell'industria del porno. Primo fra tutti il diritto alla protezione del copyright, che in Italia non esiste; nonostante la Siae pretenda un balzello su ogni video venduto, in Italia la quasi totalità dei video venduti, compresi i miei, è piratata”. Si presume infatti che il dovere preluda a un diritto ma a carte - e leggi - vedute, non è questo il caso. Nell’attesa di vedere la piega giuridica che l’intera faccenda prenderà, tocca all’attuale Ministro della Cultura Sandro Bondi specificare cosa sia porno e cosa non lo sia: data la sua ben nota attitudine alla delicatezza della poesia e al bigottismo squisitamente italiota, immaginiamo sarà un’ecatombe.

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