di Mario Braconi

Rachid Ilahami e Abdelkader Ghafir sono due immigrati marocchini, due esaltati che s’infervoravano immaginandosi protagonisti di azioni terroristiche dirette contro una caserma dei carabinieri, un supermercato, un ospedale e perfino contro il Duomo di Milano. Per fortuna, quando i loro deliranti progetti criminali, supportati dalla consuetudine con siti internet terroristici jihadisti, stanno per prendere una forma concreta, arriva la polizia. Una domanda, sempre la stessa che ci siamo posti un certo 11 settembre, un certo 11 marzo ed un certo 7 luglio: cosa c’è nella mente di queste persone? Le intercettazioni pubblicate riflettono la scena surreale in cui due stranieri, ben inseriti nel tessuto sociale e professionale del Paese ospite, si domandano l’un l’altro se sia “lecito”, secondo la legge islamica, avvelenare un acquedotto o accoltellare un passante a caso (purché cristiano, beninteso). Come nei casi di New York, Madrid e Londra, anche oggi non funziona il trito paradigma socio-psicologico della violenza terrorista figlia dall’emarginazione e della povertà. Tanto più che in questo caso, come ha spiegato il dirigente DIGOS Bruno Megale, “stiamo parlando di personaggi non inseriti organicamente in nessuna organizzazione”. Sarebbe sciocco ed irresponsabile sottovalutare il pericolo rappresentato da questi due uomini: sono certamente squilibrati, e per questa ragione i loro comportamenti risultano estremamente difficili da prevedere: le forze dell’ordine possono anche ottenere qualche successo quando si tratta di intercettare membri di organizzazioni terroristiche, ma sono quasi impotenti di fronte a persone apparentemente normali, eppure capaci di azioni isolate di impatto relativamente limitato, ma che certamente comporterebbero perdita di vite umane.

E’ sgradevole dover riconoscere che è molto difficoltoso, se non impossibile, ipotizzare una forma di prevenzione e reazione contro un nemico di questo tipo, invisibile, ben nascosto dentro la scatola cranica di individui più o meno esplicitamente disturbati. Ma la reazione politica del Ministro degli Interni all’arresto dei due marocchini ci fa sentire anche peggio: vorrebbe sembrare tempestiva, pragmatica e ben congegnata, ma risulta invece illegale, emotiva e populista, per giunta inutile.

Il caso isolato dei due svitati di Macherio (forse davvero pericolosi) è il cerino acceso gettato sul petrolio delle emozioni di cui tutti siamo ancora ostaggio dopo Mumbai e, comìera prevedibile, rappresenta nel contempo un eccellente pretesto per rispolverare la proposta di legge leghista che giace in qualche cassetto dal 2005, anno in cui, nel giorno del sette di luglio, Londra venne barbaramente e vigliaccamente attaccata: orrore vero allora (52 morti e 700 feriti), contro minaccia concreta ora; stessa agenda leghista intollerante, ieri come oggi.

Per mettere al sicuro la popolazione dal potenziale distruttivo di due assassini potenziali, insomma, ci sarebbe bisogno della cura della “camicia verde”; per un’ironica coincidenza cromatica, il verde, colore dell’Islam, è anche quello dei “nordisti” nostrani. Nell’ordine, l’intolleranza xenofoba leghista prevede: impedire l’apertura di nuovi luoghi di culto islamico fino alla firma di un’intesa tra Stato e Comunità Islamica (data prevista: mai), e comunque previi autorizzazione della Regione e referendum popolare; istituzione di un albo italiano (un altro?) quello degli imam; come se non bastasse, distanza di sicurezza pari ad un chilometro tra moschee, chiese e sinagoghe (fa niente che le celebrazioni si svolgono in tre giorni diversi della settimana, venerdì, sabato e domenica). Gli imam sarebbero inoltre obbligati a tenere sermoni in Italiano…

Che le moschee possano talora trasformarsi in luoghi da cui vengono diffusi messaggi d’odio è purtroppo un’ipotesi che ha trovato riscontri: ricordiamo infatti il documentario “Undercover Mosque” (“In incognito nella moschea”), realizzato dal canale pubblico britannico Channel Four sulla base di materiale ripreso di nascosto all’interno di diverse moschee britanniche nel corso di dodici mesi. A quanto riferisce il quotidiano di centro-sinistra The Guardian, si possono sentire predicatori esaltare i talebani che hanno “staccato la testa dal corpo” di un soldato inglese in Afghanistan, spiegare che Allah ha creato la donna “deficiente per natura”, proporre di dirupare gli omosessuali e picchiare le bambine di dieci anni che rifiutano di indossare lo “hijab”.

Ma siccome oltre Manica non esiste la Lega Nord, la polizia britannica, secondo cui non sussistono gli estremi per incriminare i predicatori di odio, ha fatto causa a Channel Four per il modo in cui venivano rappresentati gli islamici potenzialmente razzista: l’azione legale, come riportanto i due giornali di sinistra The Guardian e The Independent, è stata però bocciata dal tribunale lo scorso maggio. Proprio perché il pericolo di un’infiltrazione violenta è concreto, appare assurdo e controproducente pensare a misure di ghettizzazione dei musulmani che, lungi dal risolvere il problema, lo aggraverebbero: i musulmani continuerebbero ad incontrarsi in luoghi “illegali” e a quel punto, in una comunità che si incontra clandestinamente, sarebbe molto più complicato individuare eventuali elementi devianti.

Dobbiamo comunque domandarci: questo tema, che comporta un difficilissimo equilibrio tra libertà di culto ed esigenze di sicurezza, può essere ragionevolmente abbandonato nelle mani di persone irresponsabili tra cui c’è chi, a Padova, si diverte a portare a passeggio un maiale sul terreno in cui avrebbe dovuto sorgere una moschea, al solo scopo, esplicitamente dichiarato, di “profanare” un luogo “sacro” con un animale “impuro”? La libertà, come la sicurezza, prevede menti lucide e nervi saldi. Tutto ciò - e non solo ciò - di cui è ampiamente sprovvisto il ministro leghista di polizia.

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