di Mariavittoria Orsolato

Ignorato dai colleghi di Cisl e Uil, snobbato platealmente dal Partito Democratico e ovviamente dileggiato dal Popolo della Libertà, lo sciopero generale indetto dalla Cgil contro le misure messe in atto dal Governo per affrontare la crisi economica, ha avuto un successo insperato. Malgrado la pioggia battente un po’ su tutta la penisola, un milione e mezzo di lavoratori - queste le cifre ufficiali del sindacato - ha incrociato le braccia ed è sceso in ben 108 piazze per reclamare “più lavoro, più salario, più pensioni, più diritti”. Assieme a loro gli studenti e i precari dell’Onda universitaria, riunitisi per manifestare solidarietà ai moti greci. In 200.000 a Bologna, in 80.000 a Milano, in 50.000 a Venezia e a Torino, in 40.000 a Bari, a Firenze e a Cagliari: numeri letteralmente travolti dalla piena del Tevere, che per tutta la giornata di ieri ha occupato l’informazione nazionale, a dimostrazione che la Cgil, sebbene sia il maggiore sindacato italiano, tende ormai ad essere tagliata fuori dal roboante circo della politica. La crisi è “eccezionale”, sta avendo “effetti molto pesanti sull'occupazione, sui giovani precari, sulla vita delle imprese, sui redditi dei dipendenti e dei pensionati allora - chiede Epifani - perché il governo non apre un tavolo con il sindacato e con Confindustria per affrontare insieme i nodi strategici, di cosa ha paura?”. Il segretario nazionale, che ieri si è unito a uno dei tre cortei bolognesi confluito in piazza Maggiore, ha fatto richieste ben precise dal palco allestito sul crescentone e si è rivolto soprattutto al governo e Confindustria chiedendo la creazione di un tavolo comune su cui discutere le misure di contrasto alla crisi, partendo com’è ovvio dai problemi dei lavoratori salariati. Nella sola Emilia-Romagna, ad esempio, saranno ben 8.000 i nuovi cassintegrati dal 2008 a cui si aggiungeranno gli esuberi, che nella bolognese “LaPerla” arrivano a 365, nella modenese “Fini” sono 50 e nella reggiana “Dual” sono 115.

Quindi migliori e maggiori ammortizzatori sociali, salvataggio dei posti di lavoro a rischio ma soprattutto un piano efficace di erogazione delle risorse sul modello di quanto appena varato dalle cugine europee Francia e Inghilterra. Per affrontare la crisi, ha detto il segretario della Cgil: “Bisogna avere un progetto per il Paese che il governo forse non ha. Io sono arciconvinto che la durezza della crisi costringerà prima o poi il governo a fare sul serio ...Quando deciderà di fare sul serio chiami le organizzazioni sindacali, chiami la Cgil, perché abbiamo proposte serie”. L’affermazione è diretta e circostanziata e riporta a circa un mese fa quando, nel bel mezzo della crisi Alitalia, Cisl e Uil vennero convocati a palazzo Grazioli in gran segreto (poi rivelatosi segreto di Pulcinalla) per un summit “esclusivo” con Berlusconi e la presidente di Confidustria Emma Marcegaglia: un’azione presumibilmente diretta alla delegittimazione del sindacato più intransigente sui diritti dei lavoratori, che ha di fatto portato allo scioglimento del sodalizio ultrasessantennale sotto cui operavano i tre sindacati di base italiani.

I risultati di questa scissione si sono visti già lo scorso 14 novembre in occasione dello sciopero indetto dai lavoratori della scuola, quando Cisl e Uil hanno reso pubblica la loro defezione solo 24 ore prima dell’inizio della mobilitazione, e si sono sentiti più volte nelle parole di Raffaele Bonanni - segretario Cisl - che nei giorni scorsi si è esposto più del dovuto e in un impeto di ardore tutto arcoriano ha commentato: “La Cgil sbaglia perché contro la crisi non servono la piazza e il conflitto”. Un po’ come dire che quando piove non serve l’ombrello. Sfatiamo quindi il mito della destra che vuole il sindacato incapace di leggere la grammatica liberista: a sentir Bonanni, aòmeno la Cisl l’ha imparata eccome!

Non per ricadere nella solita fantapolitica ma, a costo di risultare ridondante, è bene ricordare il punto 3 dei procedimenti del “Piano di rinascita democratica” firmato da Licio Gelli e ritrovato nel doppiofondo di una sua valigia dalla figlia. L’articolo recita: “Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari dell'UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi in una libera confederazione, oppure, senza toccare gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederali allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all'interno dell'attuale trimurti”. Gelli dava due alternative, ma il suo delfino sembra aver propeso decisamente per la seconda.

In tutto questo bailamme, il Partito Democratico resta alle corde del ring e glissa sulla scarsa partecipazione dei suoi rappresentanti allo sciopero di ieri. Franceschini, numero due del partito, commenta positivamente la giornata ribadendo che “ogni forma per segnalare il disagio sui temi sociali ed economici e mandare un segnale al governo, va bene. Però - aggiunge crucciato - piange il cuore dinanzi al fatto che con un governo di questo tipo, che punta strategicamente a dividere i sindacati, non ci sia la capacità di tutti e tre i sindacati confederali di superare le distinzioni e le divisioni”. Lacrime di coccodrillo?

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