di Mariavittoria Orsolato

Un colpo di scena che ha del clamoroso si è consumato lo scorso mercoledì al Senato, sotto gli occhi di una maggioranza e di un’opposizione allibite allo stesso modo. Nell’approvare la modifica alla legge Marzano sulla ristrutturazione di grandi imprese in stato di insolvenza, con ovvio riferimento alla vicenda Alitalia, alcuni attenti cronisti di “Report” e di La Repubblica si sono accorti che tra le pieghe del disegno di legge compariva – quasi di straforo – un particolare emendamento. All’interno del comma 13 bis dell’articolo 1, figurava una limitazione all'applicabilità delle sanzioni penali alla legge fallimentare che sarebbero ridimensionate ai soli casi in cui si arriva, anche dopo il commissariamento, al fallimento definitivo. In sostanza, se non c'e' un fallimento definitivo, perché magari un'azienda viene in qualche modo salvata, nei confronti del manager che ha operato male non si può esercitare l'azione penale. Praticamente l’abolizione del reato di insolvenza, reato che caratterizza le recenti imputazioni di tre illustri capitani d’industria come il potentissimo Geronzi o i meno fortunati Tanzi e Cragnotti. Angelo Maria Cicolani e Antonio Paravia, i senatori prestanome che hanno apposto la firma all’ennesimo scempio della legge, obiettano che l’emendamento é “mirato esclusivamente a tutelare le difficili scelte dei commissari in situazioni particolari, come quelle in cui si trova Fantozzi, in cui è necessario poter agire in modo flessibile”. Il premier si dichiara all’oscuro di tutto. Si potrebbe giustamente obiettare che non c’è nulla di strano, visto la piega ad personam che ha preso da subito la XVI legislatura, se non fosse che il più secco e deciso no a questo emendamento – che è ovviamente già stato ribattezzato “salva-manager” – è arrivato l’indomani da un insospettabile Giulio Tremonti, ministro del Tesoro e fidato contabile del cavaliere.

Tremonti, arrivato in Senato per illustrare il piano del governo sulle banche, ha lanciato un messaggio inequivocabile: “O va via l’emendamento o va via il ministro dell’economia, ha tuonato dallo scranno di palazzo Madama. E’ fuori dalla logica di questo governo. Se s’immagina che la linea del governo sia quella prevista da un emendamento che prevede una riduzione della soglia penale per alcune attività di amministratori, si sbaglia”.

Un monito che ha stupito molti adepti della libertà e che ha spiazzato l’opposizione ma che trova il pieno consenso di Sacconi e Scajola, rispettivamente ministri del welfare e dello sviluppo economico. L’atteggiamento di questi improvvisati tre moschettieri dell’economia, lascia pensare che dietro quello che sembra solo uno dei tanti scivoloni dell’amministrazione Berlusconi si nasconda in realtà un disegno ben definito per modificare gli assetti del potere finanziario italiano.

Ed è proprio il nome di Cesare Geronzi a rendere pruriginosa la faccenda. Naturalmente affine al nostro premier, sia per inclinazione che per problemi giudiziari, il nostro è il classico amico degli amici – da Andreotti a Craxi passando per D’Alema e ovviamente Berlusconi – ha fatto fortuna speculando nel settore bancario e, nonostante una sentenza sul crack Italcase lo abbia condannato a 1 anno e 8 mesi di carcere e all’interdizione dagli uffici direttivi di qualunque azienda per due anni, dopo la maxifusione con Unicredit è stato promosso a capo del consiglio di sorveglianza di Mediobanca, il più importante ed esclusivo salotto della finanza italiana.

Data la naturale propensione del nostro padron del vapore, e considerato che solo un mese fa Marina la primigenia ha ufficialmente fatto ingresso nel cda di Mediobanca –luogo un tempo ostile e chiuso nei confronti della stirpe di Arcore – viene quasi da pensare che il presidente del Consiglio abbia semplicemente applicato ad un influente amico il suo solito modo di gestire i problemi, ovvero eliminandoli alla radice come si farebbe nelle migliori aziende. Sancendo la non-perseguibilità dell’insolvenza bancaria Geronzi verrebbe infatti automaticamente escluso dai 5 processi in corso sulle bancarotte fraudolente di Cirio e Parmalat in cui è imputato per agiottaggio, usura ed estorsione. Un’ottima moneta di scambio per tempi in cui tutto pare incerto tranne l’agonia della finanza mondiale.

I segnali di una diaspora interna si sono manifestati quando Tremonti ha consigliato a Geronzi di ammonire pubblicamente le scelte del partner Profumo nella gestione della crisi, prima fra tutte la recente scelta di ricapitalizzare. Il buon Cesare ha però fatto orecchie da mercante e il povero Giulioha dovuto apprendere dai giornali di un decreto che di fatto dava ai banchieri il permesso di rubare senza il timore di essere perseguiti. Troppo anche per economo creativo come lui. La patata bollente passa ora alla Camera che entro il 20 ottobre dovrà approvare l’emendamento di sospensione e di fatto riscrivere la norma in modo che se ne evinca l’esclusività nei confronti dei manager commissariati per Alitalia.

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