di Mariavittoria Orsolato

Quattro anni e infinite querèlles dopo, l’epopea vicentina dell’aeroporto Dal Molin e dei suoi oppositori sembra destinata a chiudersi con un nulla di fatto. Lo scorso martedì l’area della discordia è stata infatti formalmente ceduta all’esercito americano per mano del commissario di Governo Paolo Costa, un gesto che in molti avevano definito prevaricante e avventato, in vista del referendum consultativo previsto per domenica e soprattutto in attesa del pronunciamento - in calendario per il prossimo 8 ottobre - del Tar veneto, lo stesso che lo scorso giugno aveva dato lo stop al progetto di ampliamento dopo aver verificato “irregolarità procedurali ed errate valutazioni ambientali”. I pochi vicentini che ancora speravano di far valere la loro voce in capitolo hanno però dovuto rassegnarsi davanti al Consiglio di Stato che giovedì ha decretato l’inammissibilità del referendum promosso dalla giunta targata Pd. In breve, il quesito referendario chiedeva ai cittadini di Vicenza di giudicare positivamente o meno la volontà del Comune di acquistare la zona demaniale destinata all’ampliamento della caserma Ederle, in modo da restituirla alla collettività. Non si chiedeva perciò di esprimere il proprio essere favorevoli o contrari alla base, ma il Consiglio di Stato ha preferito mettere le mani avanti e, in vista di un plebiscito praticamente annunciato, ha deliberato l’illegittimità del referendum “nella misura in cui ha per oggetto un auspicio irrealizzabile”. Come a dire “la consultazione non ha senso perché tanto è già tutto deciso”, e si scopre così che la democrazia - in barba ai più alti principi costituzionali - è solo qualcosa di strumentale che perde di valore se utilizzata per cosiddette “cause perse”.

Il sindaco Achille Variali però non ci sta e conferma, davanti ai 12.000 riunitisi dopo l’annuncio, che il refendum si farà comunque in gazebo posti al di fuori dei 53 seggi già decisi: “Non avrà valore istituzionale ma sicuramente avrà un forte valore politico, la giunta deve ottemperare alle direttive ma la città ha il diritto di esprimersi - spiega il primo cittadino, e ironizza: Il Consiglio di Stato ha dato un ordine a Vicenza, Vicenza darà un consiglio allo Stato”.

Il comitato spontaneo No-Dal Molin insorge e accusa la politica di Roma di trattare Vicenza come una colonia a stelle strisce in cui non solo non si permette ai cittadini di decidere del loro spazio, ma addirittura s’impedisce di esprimere anche una sola opinione a riguardo. Il palazzo s’inserisce al solito nel dibattito, ma mentre la maggioranza plaude alla decisione del Consiglio e attacca il sindaco Variali reo di sprecare denaro pubblico per un referendum “inutile e improponibile”, il Pd resta in un imbarazzante silenzio assenso. Il via libera definitivo alla cessione dell’aeroporto Dal Molin, seppur negoziato nei Governi Berlusconi II e III e approvato dalla giunta vicentina uscente, è infatti arrivato dall’amministrazione Prodi nel gennaio 2007 ed è stato sottoscritto dal Presidente Napolitano.

Difficile perciò che gli americani accettino un plateale dietrofront dopo la conferma di ben tre esecutivi. Il piano statunitense è infatti quello di riposizionare le truppe di stanza in Europa concentrandole nello stivale e il Dal Molin rappresenta un’utile moneta di scambio in cui la posta è l’invio di altri soldati italiani in zone calde come l’Iraq e l’Afghanistan: garantendo lo spazio per riunire la 173^ Brigata aviotrasportata - sparsa tra Vicenza, Aviano e la Germania - la base vicentina diventerebbe il punto logistico più importante dell’esercito statunitense in Europa, soprattutto per quanto riguarda le operazioni belliche in Medioriente, in questo modo non sarebbero necessarie truppe amiche da affiancare ai caschi verdi ma basterebbero i 4000 uomini stanziati alla Ederle.

Il capitolo sembra quindi definitivamente chiuso: i manifestanti autorganizzati ripongano bandiere e megafoni, Vicenza ospiterà un nuovo insediamento a stelle e strisce. Il problema che si pone ora è un altro. L’atto del Consiglio di Stato, pur tagliando la testa al toro, sancisce di fatto la sconfitta della democrazia che si ribella dal basso alle decisioni dei colletti bianchi. Negare la possibilità di una consultazione popolare - per di più con motivazioni più politiche che giuridiche - equivale a vietare la partecipazione e a sopprimere la possibilità di esprimersi mediante uno strumento garantito dalla Costituzione. Qualunque dizionario definirebbe questa prospettiva despotismo, ma sembra piaccia di più pensare che questo sia solo un provvedimento emanato in seno a precedenti accordi internazionali. Vicenza val bene una stretta di mano alla Casa Bianca, non importa che il prezzo da pagare corrisponda al diniego della tanto decantata libertà.

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