di Agnese Licata

La pioggia sembravano quasi non sentirla, le migliaia di manifestanti che, ancora una volta, sabato scorso sono scese in piazza per ribadire che a Vicenza, la città del Palladio, o in qualsiasi altra città, non c’è posto e non ci sarà mai posto per una base militare da 440mila metri quadrati, men che meno americana. Il presidio permanente “No Dal Molin” ha alle spalle, ormai, due anni di lotte. Eppure, non basta il tempo che passa a logorare la volontà di chi abita qui e di chi viene da tutto il Nord Italia per portare il proprio sostegno. Anzi. La conquista fondamentale, ossia il diniego dell’accordo orale Usa-governo italiano per la cessione di un pezzo di territorio, non è ancora arrivato, ma passi avanti se ne sono fatti e non da poco, se si considera che in ballo c’è uno dei punti più incontestabili dalla politica italiana (di destra come di sinistra): la succube collaborazione con la Casa Bianca. L’elezione di Achille Variati a sindaco di Vicenza, l’uomo che per sconfiggere il centrodestra aveva puntato proprio sulla contrarietà all’ampliamento della base, ha rappresentato una svolta e un risultato concreto. Come, del resto, lo è stata anche la recente sentenza del Tar del Veneto che detto una cosa semplice ma mai scontata: su urbanistica e gestione del territorio bisogna dare voce ai cittadini. La consapevolezza che non arrendendosi, continuando a mobilitarsi pacificamente, si può riuscire a cambiare le cose, ha reso sempre più colorato e numeroso il “popolo” del “No Dal Molin”.

Sabato scorso, in tantissimi si sono ritrovati, puntuali, alle 15 in piazza Matteotti. Tantissimi, nonostante un tempo non clemente e, soprattutto, nonostante gli scontri con le forze dell’ordine della settimana precedente. Questa volta, per fortuna, gli uomini del questore Giovanni Sarlo non hanno replicato, pur non rinunciando a uno sfoggio di forza al limite con la ridicolaggine. Oltre ai carabinieri messi in piazza per controllare il ritrovo dei manifestanti; oltre a quelli che, negli incroci, verificavano che il corteo non deviasse dal percorso autorizzato, oltre queste decide di agenti, quasi 150 erano schierati all’interno dell’aeroporto, parallelamente alla strada seguita dagli attivisti. Tutti rigorosamente in tenuta antisommossa.

Spesso, in manifestazioni come queste, si tende a fare la tara alle cifre: gli organizzatori dicono che c’erano 8mila persone? Allora non saranno state più di 4mila. Dicono che ci fossero 150 poliziotti? Allora saranno state poche decine. Regole che valgono sui giornali, perché sempre più spesso si scrive avendo visto al massimo le foto d’agenzia. Invece, basta essere lì, contarli uno dopo l’altro, quei poliziotti messi ordinatamente in fila dentro un’area recintata, come se un corteo potesse nascondere un carroarmato. Basta questo per verificare che quei quasi 150 agenti ci sono davvero proprio tutti. Schierati contro una manifestazione che accoglie tutto fuorché facinorosi e violenti.

Anche in questa occasione, infatti, il movimento “No Dal Molin” ha saputo riunire persone di tutte le età e le classi sociali: bambini a reggere l’enorme bandiera arcobaleno, gli universitari, le signore che affiggono manifesti e imbucano volantini, ragazzi che accompagnano il lungo corteo con la loro musica e tutte le persone comuni che si possono immaginare. Insomma, nessuno ai quali si possa pensare di trovare nello zaino un coltello, un bastone o qualsiasi altra arma. Rimane comunque una domanda: ma se le forze dell’ordine continuano a dire che sono in carenza di mezzi e uomini, come hanno fatto a mettere insieme oltre cento uomini e chissà quante automobili e blindati?.

In ogni caso, al di là di aspetti che ormai non sorprendono neanche più, le cose importanti sono altre. Partendo da quel referendum ormai molto vicino, fissato per il 5 ottobre. Si tratta di un referendum consultivo e quindi non vincolante: che i vicentini dicano “sì” al raddoppio della base o dicano “no”, la scelta finale rimarrà totalmente nelle mani del governo. Eppure, è l’occasione per dare un segnale ancora più forte, per dire che a non volere questo progetto è tutta Vicenza, non un gruppetto ristretto di ragazzi additati come no-global. Viceversa, se si dovesse perdere, il governo Berlusconi avrebbe mano libera per riprendere e accelerare i lavori all’interno dell’aeroporto, con la legittimità di poter dire: “Anche la maggioranza dei vicentini sa che sto facendo il bene dell’Italia”.

Conquistare un buon risultato a questo referendum, però, non è scontato. Innanzitutto per il modo con cui è stato elaborato il quesito. La legge italiana vieta d’indire referendum locali che abbiano come oggetto la politica estera così, la formulazione del quesito è stato pensato sotto forma “amministrativa” e, quindi, al limite della comprensibilità. “È lei favorevole alla adozione da parte del consiglio comunale di Vicenza, nella sua funzione di organo di indirizzo politico amministrativo, di una deliberazione per l’avvio del procedimento di acquisizione al patrimonio comunale, previa sdemanializzazione, dell’area aeroportuale “Dal Molin” - ove è prevista la realizzazione di una base miliare statunitense - da destinare ad usi d’interesse collettivo?”

Eccola la formulazione scelta dal Comune. In parole, un po’ più povere, si potrebbe tradurre: “Siete d’accordo che il Comune acquisti l’area “Dal Molin” per destinarla ad usi d’interesse collettivo, laddove, invece, gli Stati Uniti intendono costruire una base militare?” La risposta da barrare, per chi crede ancora che la militarizzazione non sia la soluzione di nulla, ma che anzi contribuisca ad accrescere tensioni internazionali, è quindi “Sì”.

In uno dei volantini che sabato i membri del presidio permanente affiggevano sui muri, era riportata una citazione di Piero Calamandrei: “Se la guerra verrà ognuno di noi sarà colpevole per non averla impedita. La colpa non è di chi annuncia una guerra. La colpa è di chi, sentendo quell'annuncio, non compie un atto, non leva una protesta, non dà un voto per impedire che l'annuncio si avveri”. Questo scriveva l’intellettuale nel dicembre del 1946. Parole che valgono oggi come ieri.

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