La visita nel fine settimana in Cina del presidente francese Macron non ha prodotto apparenti risultati nella risoluzione della crisi ucraina. Lo scopo principale della trasferta durata quattro giorni non era però probabilmente il conflitto in corso, ma il tentativo di ricalibrare le politiche cinesi di Parigi e, di riflesso, dell’intera Europa a fronte della crescente rivalità tra Washington e Pechino. Infatti, più del presunto fallimento nel convincere la leadership cinese a fare pressioni sulla Russia, ciò che ha fatto discutere maggiormente del viaggio di Macron sono state le dichiarazioni con cui ha messo in chiaro di voler prendere le distanze dall’atteggiamento sempre più aggressivo degli Stati Uniti.

 

Già le dimensioni e la composizione della delegazione che ha accompagnato in Cina il presidente francese hanno fatto intendere come l’attitudine dell’Eliseo sia in larga misura diversa da quella dell’amministrazione Biden. Il famoso “decoupling” da Pechino non è cioè sull’agenda dei leader europei, che, a cominciare da Macron, continuano a vedere la seconda potenza economica del pianeta come un’opportunità di sviluppo piuttosto che un nemico o rivale strategico.

È evidente che, in un frangente storico come quello attuale, un approccio di questo genere costringe a entrare prima o poi in rotta di collisione con gli Stati Uniti, impegnati da parte loro ad alimentare le tensioni con la Cina su tutti i fronti possibili. Infatti, le parole di Macron nel corso e al termine della trasferta cinese sono andate precisamente in questa direzione, rievocando un clima di freddezza che sull’asse Washington-Bruxelles (Parigi) non si respirava dai tempi della presidenza Trump.

Macron è stato accompagnato dai massimi dirigenti di molte grandi aziende francesi, da EDF a Suez, da Alstom a L’Oréal e Airbus. Tutte hanno sottoscritto accordi più o meno importanti per nuovi progetti con le controparti cinesi. Airbus ha ad esempio lanciato una seconda linea di assemblaggio di velivoli A320 nell’impianto già esistente nella città di Tianjin. In parallelo, la stessa compagnia europea con sede in Francia ha firmato un accordo con China Aviation Supplies Holding Company (CAS) per la vendita di 160 aeromobili. Ad oggi, i velivoli di Airbus costituiscono oltre la metà della flotta cinese, grazie anche alle restrizioni con cui devono fare i conti i concorrenti come Boeing per via delle politiche anticinesi di Washington.

La questione su cui si è concentrato Macron per notificare agli Stati Uniti le divergenze sull’approccio alla Cina è quella senza dubbio più calda in questo momento, ovvero Taiwan. Il presidente francese ha sostenuto che l’Europa non deve in nessun modo essere coinvolta in un eventuale conflitto sino-americano che potrebbe scoppiare attorno all’isola. Conflitto che risulta sempre più vicino a causa delle iniziative USA per stabilire relazioni sempre più strette con Taipei, fino alla possibile liquidazione definitiva della politica di “una sola Cina”, sposata peraltro ufficialmente anche da Washington.

La discussione su Taiwan è tanto più significativa se si considera che la visita di Macron in Cina è avvenuta praticamente in concomitanza con l’incontro in California tra la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e lo “speaker” della Camera dei Rappresentanti di Washington, Kevin McCarthy, secondo in linea di successione alla presidenza degli Stati Uniti. Il faccia a faccia al più alto livello in assoluto sul suolo americano tra rappresentanti di USA e Taiwan dal ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino aveva incontrato la durissima condanna da parte delle autorità cinesi, che subito dopo la partenza di Macron per la Francia hanno ordinato una massiccia esercitazione militare diretta contro Taipei.

Secondo quanto riportato dal governo cinese, lo stesso Macron avrebbe definito “inopportuna” la visita di Tsai Ing-wen. Nel volo che lo ha riportato a Parigi, il presidente francese è poi tornato sull’argomento in un’intervista rilasciata a Politico e Les Echos. Il caso Taiwan è servito a sollevare la questione della “autonomia strategica” dell’Europa. Per Macron, in merito all’escalation attorno allo status dell’isola, “la cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dovremmo seguire ciecamente” gli Stati Uniti. Al contrario, “ad un certo punto, dovremo interrogarci sui nostri interessi”, evitando di “seguire le politiche americane con una risposta dettata dal panico”.

In maniera cruciale, Macron ha elaborato il concetto di “autonomia strategica” per ricondurlo a un processo di militarizzazione dell’Europa che prospetta la creazione di una sorta di “terzo polo” nel nuovo ordine internazionale, in grado di competere con USA e Cina. Su questo punto, Macron ritiene che, se Washington dovesse spingere la crisi fino a fare esplodere una guerra con Pechino prima che l’Europa sia militarmente autonoma, i paesi del vecchio continente resterebbero nient’altro che “vassalli” degli Stati Uniti.

L’autonomia strategica europea è un tema che era stato discusso ampiamente durante la presidenza Trump, per finire poi in secondo piano con l’esplodere della guerra in Ucraina e l’apparente ricompattamento del fronte NATO attorno alle priorità americane. L’errore di calcolo degli Stati Uniti nel tentativo di indebolire la Russia ha però a poco a poco fatto riemergere tensioni e spaccature in Occidente, mentre la guerra in corso si è di fatto trasformata in uno scontro per mettere fine all’unipolarismo e all’egemonia globale degli Stati Uniti.

In questo scenario, le principali potenze europee, e soprattutto l’unica dotata di armi nucleari nell’UE, sembrano intenzionate a rilanciare il processo di militarizzazione in autonomia da Washington, con implicazioni enormi per il futuro dell’alleanza transatlantica. Non è d’altra parte sorprendente che i commentatori americani e britannici abbiano criticato aspramente un Macron a loro dire intento a compromettere lo sforzo USA per contenere la Cina. Irritazione che è ancora più comprensibile alla luce dei dubbi sollevati esplicitamente da Macron sul futuro del dollaro come valuta di riserva globale. Riferendosi direttamente alle dinamiche di diversificazione nei pagamenti bilaterali, promosse in primo luogo da Russia, Cina, Iran e Brasile, il presidente francese ha sottolineato come “non si debba [più] dipendere dalla extraterritorialità del dollaro USA”.

Non sorprende dunque che in Cina l’affermazione dell’autonomia strategica europea da parte di Macron sia stata accolta con particolare soddisfazione. Le posizioni francesi sono viste a Pechino come un possibile modello di collaborazione con l’Europa per controbilanciare il deteriorarsi dei rapporti con Washington. Le resistenze europee all’escalation dello scontro tra USA e Cina, anche se non rappresentano un processo univoco e acquisito, sono un elemento oggettivamente positivo, in quanto potrebbero almeno in teoria sottrarre alleati agli Stati Uniti nella rovinosa offensiva contro il proprio principale rivale strategico su scala planetaria.

Le dichiarazioni di Macron ipotizzano inoltre il possibile abbandono delle politiche economicamente suicide adottate dall’Europa a partire dal febbraio del 2022. Dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e l’imposizione di (auto-)sanzioni contro Mosca, era apparso infatti subito evidente che i danni auto-inflitti a causa di queste misure punitive avrebbero potuto essere replicati in futuro con Pechino, precludendo all’Europa le occasioni di sviluppo offerte dai progetti di integrazione euro-asiatica che fanno capo alla Cina.

Che ciò accada o meno sarà tutto da verificare. L’allineamento in qualche modo alle tendenze multipolari da parte del presidente francese non implica tuttavia di per sé una democratizzazione del modello politico e sociale occidentale, né tantomeno una redistribuzione più equa delle risorse derivanti dall’eventuale espansione dell’economia del continente grazie al rafforzamento dei rapporti con la Cina.

Il modello delineato nei giorni scorsi da Macron si basa principalmente su una forte espansione della spesa militare con l’obiettivo di fare dell’Europa una potenza in grado di competere con Stati Uniti e Cina. Una prospettiva, quest’ultima, difficilmente conciliabile con propositi di natura pacifica e democratica. Un aumento del bilancio militare deve essere oltretutto finanziato da ulteriori pesanti tagli alla spesa sociale, come dimostra la guerra vera e propria condotta proprio in queste settimane da Macron contro i lavoratori francesi per “riformare” il sistema pensionistico d’oltralpe.

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