La pubblicazione di decine di documenti riservati del dipartimento della Difesa americano continua a essere il tema centrale nel dibattito internazionale sulla guerra in Ucraina. L’analisi del materiale diffuso in rete si è arricchita con la rivelazione della presenza sul campo nel paese dell’ex Unione Sovietica di un centinaio di uomini delle forze speciali di vari paesi NATO. Nel complesso, le notizie che si ricavano sono tutt’altro che sorprendenti per chi abbia qualche frequentazione di fonti di informazione alternativa. I documenti contribuiscono però quanto meno a smentire una parte della propaganda e delle menzogne su cui si è basata la campagna che in Occidente ha accompagnato la guerra in Ucraina fin dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio dello scorso anno.

Si è discusso molto in rete sull’autenticità del materiale trafugato probabilmente da un analista del Pentagono, così come sulla possibile penetrazione nei sistemi informatici del governo USA da parte di avversari come la Russia. Tra le analisi più dettagliate e convincenti reperibili nel circuito dei commentatori indipendenti, che a stragrande maggioranza sostengono la veridicità dei documenti e la tesi del “inside job”, c’è senza dubbio quella proposta dall’analista militare che, sulla piattaforma Substack, si nasconde dietro lo pseudonimo di Big Serge.

 

Quest’ultimo esclude anche l’ipotesi di un possibile depistaggio da parte del Pentagono, se non altro per i tempi con cui i documenti sono diventati di dominio pubblico. Già a inizio marzo circolavano infatti in chat frequentate da “gamers”, per poi finire su canali Telegram filo-russi e, solo recentemente, all’attenzione anche della stampa ufficiale. Se si fosse trattato invece di un’operazione di contro-informazione del governo di Washington, come quella relativa alla distruzione del gasdotto Nord Stream, è certo che la “fuga di notizie” sarebbe avvenuta per mezzo di media importanti, come il New York Times o il Washington Post, e avrebbe ricevuto da subito la massima copertura mediatica.

La conclusione principale che si può trarre dall’esame dei documenti è appunto una conferma dell’esistenza di una cortina di fumo sulla situazione reale in Ucraina, creata deliberatamente dai paesi NATO per promuovere una guerra che essi stessi hanno provocato e che non sta andando come avevano previsto. Da questa considerazione deriva l’altro elemento di maggiore rilievo evidenziato dai documenti, ovvero lo stato di estremo degrado delle forze armate ucraine, tanto da rendere molto difficile e rischiosa l’annunciata controffensiva per recuperare i territori conquistati finora dalla Russia.

A lungo, il governo americano e i suoi alleati hanno insistito sul fatto che la NATO e i suoi membri non fossero coinvolti direttamente nel conflitto. Allo stesso modo, l’amministrazione Biden e i paesi europei garantiscono che non ci sono propri militari sul campo in Ucraina. Ancora, le armi fornite al regime di Zelensky sarebbero puramente difensive e Washington terrebbe sotto controllo il processo di fornitura, tracciando la destinazione di ognuna di esse. La vittoria di Kiev sarebbe infine a portata di mano, essendo sufficiente un altro sforzo da parte della NATO nel sostenere l’alleato di fatto, così da far crollare le forze di Mosca sotto il peso dell’inefficienza e delle carenze strutturali del sistema politico, economico e militare russo.

Tutte queste tesi erano già state smentite dall’andamento oggettivo della guerra, nonostante la disinformazione deliberata della stampa ufficiale in Occidente. Nei documenti riservati del Pentagono alcune di questa verità sono però ora scritte nero su bianco, come l’impiego di soldati dei reparti speciali in appoggio alle forze ucraine. Il contingente più numeroso sarebbe quello britannico con una cinquantina di uomini, seguito dai lettoni (17), dai francesi (15), dagli americani (14) e da un solo militare olandese. I compiti svolti da questi soldati super-addestrati non sono specificati. In ogni caso, come per le informazioni relative ad altri ambiti, anche per il numero di forze speciali il dato si riferisce a un’analisi della situazione nel teatro di guerra stilata a inizio marzo e potrebbe perciò essere oggi superata.

Tra le maglie della propaganda, nei mesi scorsi erano già trapelate in varie occasioni notizie sulla presenza di forze speciali NATO in Ucraina, ma la versione ufficiale dei governi occidentali era sempre stata quella del rifiuto a inviare propri uomini sul campo. A proposito degli inglesi, il francese Le Figaro ne aveva scritto ad esempio già nell’aprile 2022, mentre mesi fa il Daily Mirror e il Times di Londra avevano parlato di programmi di addestramento per i militari ucraini operati da membri ed ex membri delle forze speciali britanniche.

Discorso simile vale per i toni quasi trionfali che nelle ultime settimane avevano caratterizzato i giornali “mainstream”. Oltre alla favola dell’imminente esaurimento delle scorte dell’artiglieria di Mosca, uno dei temi preferiti era il moltiplicarsi delle vittime di guerra russe, decisamente superiori rispetto a quelle sofferte dall’Ucraina. Solo una decina di giorni fa, invece, il New York Times, celebrava il prossimo trionfo di Kiev sulla Russia, elencando oltretutto la serie di conseguenze che ne sarebbero derivate in ambito geo-politico.

Ora al contrario, un senso di pessimismo sembra essere calato sull’Occidente, visto che la controffensiva ucraina, se mai fosse stata in programma, dovrà molto probabilmente essere rimandata. I documenti del Pentagono attestano infatti una grave carenza di materiale bellico da parte di Kiev, a cominciare dai missili da utilizzare nei sistemi anti-aerei di fabbricazione russa S-300 e BUK, i quali costituiscono la gran parte della difesa a medio e lungo raggio ucraina. Con gli attuali ritmi di consumo, queste munizioni potrebbero essere esaurite già a inizio maggio, mettendo gli ufficiali ucraini di fronte a scelte molto difficili riguardo la difesa dalle incursioni russe.

In base ai documenti riservati del Pentagono, la già citata analisi di Big Serge sulla piattaforma Substack delinea un quadro problematico per il regime di Zelensky. Dai dati messi a disposizione dal finora ignoto responsabile della fuga di notizie emerge un deficit cronico di materiale bellico che i paesi NATO faranno molta fatica a compensare, lasciando all’Ucraina l’opzione di lanciare una eventuale controffensiva con un numero inadeguato di uomini e mezzi. Se, grazie al sostegno occidentale, queste condizioni sono le migliori a cui Kiev può ambire per un’operazione contro le forze russe, si chiede Big Serge, cosa succederà in caso di sconfitta ucraina? Quale sarà cioè la consistenza della seconda formazione d’assalto che Zelensky e i suoi sostenitori riusciranno a mettere assieme dopo l’eventuale tracollo della prima?

Queste domande rimandano alla questione cruciale della possibile via d’uscita dal pantano ucraino. Sui media ufficiali, invece, il problema principale legato alla fuga di notizie sembra essere l’inammissibilità di un episodio di questo genere, tanto più dopo la vicenda di Edward Snowden e di altri dopo di lui, nonché l’identità del responsabile. A questo proposito, resta aperta la motivazione alla base della pubblicazione dei documenti del dipartimento della Difesa USA. Se si esclude un depistaggio e un’operazione di non identificati hacker, l’ipotesi più probabile è che l’azione sia da attribuire a un “insider” preoccupato per i rischi di una continua escalation militare in Ucraina, sull’esempio, sia pure con i dovuti distinguo, di Daniel Ellsberg e i Pentagon Papers in relazione alla guerra in Vietnam oltre mezzo secolo fa.

Le divisioni in Occidente sull’impegno a favore dell’Ucraina sono d’altra parte evidenti da tempo, ma anche in questo caso le informazioni derivanti dal materiale riservato servono in qualche modo a ratificare lo stato delle cose. Basti citare, secondo quanto contenuto nei documenti, come gli Stati Uniti ritengano necessario sorvegliare le comunicazioni elettroniche dei loro alleati, verosimilmente per intercettare possibili scostamenti dalla linea dettata da Washington, o sollecitare ripetutamente alleati poco propensi a trasferire equipaggiamenti militari sensibili al regime di Zelensky (Corea del Sud, Israele, Bulgaria).

Un ultimo elemento che risalta dall’analisi dei documenti in questione è la scarsa capacità di generare informazioni di intelligence in maniera indipendente da parte degli Stati Uniti riguardo la situazione delle forze armate ucraine. Le informazioni citate evidenziano spesso un livello di approssimazione inaspettato e sembrano essere state compilate, da un lato, con dati di dominio pubblico e dall’altro prendendo per buona la propaganda di Kiev. Questo fatto contribuisce a spiegare la clamorosa sottovalutazione delle potenzialità russe, alla base del fallimento dell’offensiva contro Mosca, e la facoltà dell’Ucraina di ottenere un flusso virtualmente illimitato di armi e denaro dall’Occidente.

Resta da verificare quali saranno le ripercussioni della fuga di notizie di questi giorni. Il Pentagono ha promesso un’indagine accurata per individuare il responsabile o i responsabili, ma non è da escludere che i fatti siano stati accolti con sollievo da quanti a Washington ritengono quella ucraina una causa ormai persa e, comunque, troppo rischiosa.

Secondo alcuni, la provenienza dei documenti dal dipartimento della Difesa confermerebbe la cautela almeno di una parte dei vertici militari americani, in contrapposizione alla follia “neo-con” che domina alla Casa Bianca e al dipartimento di Stato. A spostare gli equilibri saranno ancora una volta gli eventi sul campo, a cominciare, probabilmente già nelle prossime settimane, dal possibile epilogo della sanguinosa battaglia per la città di Bakhmut e il materializzarsi o meno dell’ormai quasi leggendaria controffensiva di ciò che resta dell’esercito ucraino.

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