L’ingresso ufficiale della Finlandia nella NATO è avvenuto ironicamente solo due giorni dopo la sconfitta elettorale della coalizione di governo di centro-sinistra che ha gestito negli ultimi undici mesi la liquidazione definitiva dello status di neutralità del paese nordico. Praticamente tutta la classe politica finlandese è comunque allineata ai principi del filo-atlantismo, così che il prossimo cambio di governo a Helsinki non farà registrare nessuna variazione di rotta a proposito della crisi russo-ucraina. Il sostanziale consenso della politica e della maggioranza della popolazione all’adesione alla NATO non cancella tuttavia i rischi che questa decisione comporta per la Finlandia, la cui sicurezza diventerà da questa settimana indiscutibilmente più precaria, come hanno già lasciato intendere le inevitabili e del tutto legittime reazioni del governo di Mosca.

 

Dietro alla retorica che ha accompagnato la cerimonia ufficiale di martedì è facile ipotizzare che almeno in alcuni ambienti della classe dirigente finlandese circoli più di una preoccupazione per la trasformazione del paese nell’avamposto NATO con il più lungo confine condiviso con la Russia. Tra le righe del discorso del presidente, Sauli Niinistö, si intravede ad esempio un certo disagio per avere compromesso la sicurezza della Finlandia. Il messaggio di quest’ultimo è sembrato essere diretto non tanto al segretario Stoltenberg o alla Casa Bianca, quanto al presidente russo Putin. Niinistö ha tenuto cioè a precisare che l’ingresso di Helsinki nella NATO “non è contro nessuno”.

L’affermazione è oggettivamente e ovviamente assurda, ma altamente indicativa dello stato d’animo di una classe politica piegatasi in fretta ai diktat di Washington dopo l’inizio delle operazioni russe in Ucraina nel febbraio dello scorso anno. La rassicurazione del presidente finlandese è stata poi seguita da una precisazione illusoria. A suo dire, l’adesione “non cambia le basi e gli obiettivi della nostra politica estera e della sicurezza”, visto che la Finlandia resterà “un paese scandinavo stabile e prevedibile che si batte per la risoluzione pacifica dei conflitti”.

I cambiamenti, anche se non immediatamente evidenti, ci saranno e risulteranno forse decisivi per l’architettura della sicurezza europea. Per cominciare, a Helsinki e a Bruxelles deve essere sfuggito il fatto che la crisi ucraina era esplosa fondamentalmente per la minaccia dell’ingresso nella NATO di un paese al confine con la Russia e, come rimedio, è stato deciso proprio di allargare il numero dei suoi membri, includendo per l’appunto un altro paese confinante con la Russia. La soluzione non può quindi contribuire ad attenuare le tensioni, bensì a moltiplicarle.

Con la Finlandia, il confine NATO-Russia è più che raddoppiato, passando da 1.233 a 2.572 km. Se si considera che a breve anche la Svezia dovrebbe entrare a farne parte, oltre il 90% del Mar Baltico sarà inoltre controllato da paesi NATO. La flotta baltica russa dovrà quindi tenere in considerazione questa nuova realtà, con riflessi strategici abbastanza ovvi. Uno di questi è il posizionamento di armi nucleari nell’enclave di Kaliningrad. Inoltre, nell’area a est di San Pietroburgo, città situata ad appena 250 km dal confine finlandese, potrebbe essere introdotta da parte della Russia una zona di esclusione aerea, la cui eventuale violazione da parte di velivoli NATO rischierebbe di provocare un serissimo incidente.

Le dichiarazioni degli esponenti del governo di Mosca sono state ad ogni modo minacciose ma tendenti a non incoraggiare un’escalation. Per il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, l’adesione della Finlandia alla NATO rappresenta “una significativa espansione del conflitto” in corso in Ucraina. Il ministero degli Esteri ha a sua volta giudicato gli eventi come “un cambiamento fondamentale della situazione in Europa settentrionale, in precedenza una delle aree più stabili del pianeta”. Le contromisure russe dipenderanno però “dalle specifiche condizioni dell’integrazione della Finlandia nell’Alleanza Atlantica, inclusa la [possibile] creazione sul suo territorio di basi militari NATO e il dispiegamento di armi offensive”.

Martedì, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha abbassato ulteriormente i toni con una dichiarazione ufficiale rilasciata per chiarire le differenze tra la situazione ucraina e quella finlandese. L’allargamento della NATO comporta sì “una violazione degli interessi nazionali russi”, ma, a differenza dell’Ucraina, la Finlandia “non è mai stata anti-russa”, né Mosca “ha mai avuto dispute” con Helsinki.

L’ingresso nella NATO della Finlandia è ad ogni modo la logica conclusione di un percorso di avvicinamento iniziato almeno dalla metà degli anni Novanta, quando Helsinki sottoscrisse con l’Alleanza la cosiddetta Partnership per la Pace, aprendo la strada alla partecipazione alle “missioni” in Kosovo, Afghanistan e Iraq. Le forze armate finlandesi si sarebbero così progressivamente adeguate agli standard NATO, mentre gli alti ufficiali hanno iniziato a prendere parte alle riunioni del Patto Atlantico. Soprattutto, Helsinki ha staccato ordini importanti per armamenti di produzione americana, tra cui, recentemente, missili Stinger e altri ordigni per quasi 400 milioni di dollari a fine novembre e, qualche mese prima, ben 64 caccia F-35 per un valore di oltre 9 miliardi.

La richiesta ufficiale di adesione era stata alla fine presentata il 18 maggio scorso assieme alla Svezia. Nel vertice NATO di Madrid il successivo 4 luglio i negoziati furono poi completati, ma la ratifica di tutti e 30 i membri sarebbe stata più difficoltosa. Per meglio dire, Turchia e Ungheria hanno ritardato fino a pochi giorni fa l’approvazione da parte dei rispettivi parlamenti, lasciando però per il momento in sospeso la candidatura della Svezia.

L’impulso alla militarizzazione e l’ingresso nella NATO sono dunque l’eredità tossica del governo uscente della premier Sanna Marin, autentica icona della finta sinistra occidentale. La coalizione guidata dal suo Partito Social Democratico ha riconosciuto la sconfitta nelle elezioni di domenica, anche se è stata in realtà determinante la flessione dei partner minori: i Verdi, l’Alleanza di Sinistra e il Partito di Centro. I socialdemocratici hanno infatti ottenuto tre seggi in più rispetto alla precedente tornata, ma sono stati superati sia dal Partito di Coalizione Nazionale conservatore sia dall’estrema destra dei Veri Finlandesi.

Il leader del Partito di Coalizione Nazionale, Petteri Orpo, proverà a mettere assieme una nuova maggioranza di governo, anche se un’eventuale accordo con il Partito Social Democratico o con i Veri Finlandesi non sarà comunque sufficiente. Almeno un altro partito dovrà essere convinto ad appoggiare l’esecutivo e tutta da verificare sarà l’eventuale disponibilità a far parte di una coalizione che potrebbe essere composta da un partito legato all’estremismo di destra.

Qualunque sia la composizione del futuro governo di Helsinki, i prossimi mesi vedranno il consolidamento della Finlandia come stato di frontiera NATO al servizio degli interessi americani. Nemmeno i Veri Finlandesi, a differenza di altri partiti dell’ultra-destra europea, auspicano un approccio più cauto alla crisi russo-ucraina, avendo da parte loro già espresso da tempo opinione favorevole all’ingresso nel Patto Atlantico. Sul fronte interno, un possibile governo guidato da Orpo opererà invece un netto ridimensionamento della spesa pubblica, come conferma l’impegno a tagliare circa sei miliardi di euro nei prossimi quattro anni.

L’uscita di scena di Sanna Marin, dimessasi mercoledì da segretario del suo partito, segna così una nuova imbarazzante sconfitta per quegli ambienti “liberal” occidentali che intendono costruirsi credenziali pseudo-progressiste attorno alle questioni di genere o ai temi ambientali, mostrando un disinteresse quasi totale per le questioni di classe e le crescenti disparità economiche che caratterizzano le società occidentali. L’altro elemento centrale è l’attitudine guerrafondaia e l’isteria anti-russa, che ha fatto appunto della premier finlandese uscente una delle voci più convinte nel sostenere il regime di Zelensky.

Una scelta di campo per l’ex neutrale Finlandia che potrebbe costare carissima in termini di sicurezza, ma non solo. L’ingresso nella NATO avrà infatti conseguenze negative anche in ambito economico. La perdita già consistente di un mercato importante per le esportazioni finlandesi, come quello russo, rischia di diventare definitiva, mentre resteranno un miraggio i possibili benefici derivanti dallo status di neutralità e da un approccio equilibrato alla crisi, simile a quello scelto finora dalla Turchia.

Come ha riassunto efficacemente in un post sul suo canale Telgram il docente russo di scienze politiche Dmitry Evstafiev, “l’inerzia delle politiche russofobe ha prevalso su tutte le considerazioni razionali” a Helsinki. La classe politica finlandese “ha a un certo punto creduto troppo nell’imminente collasso della Russia”, assecondando l’offensiva occidentale e scegliendo l’opzione NATO, fino a che “è diventato ormai tardi per [provare a] invertire la rotta”.

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