Anche i nostri media, che ogni giorno cercano di convincerci della democraticità del governo ucraino, del suo leader e della loro appartenenza al “mondo libero”, non hanno potuto tralasciare la notizia secondo la quale, riappropriatosi di alcuni territori prima occupati dai russi (Kharkov e ora Kherson), il governo ucraino ha dato avvio a una spietata caccia ai collaborazionisti pro-russi, considerati traditori della patria, anche se si sono limitati ad accettare cibo e aiuto dagli invasori, con i quali evidentemente debbono avere spesso strette relazioni per la comune lingua e cultura d’origine.

 

D’altra parte, purtroppo per i nostri influencer, il fatto che l’Ucraina non sia rispettosa dei diritti umani è stato messo in evidenza anche da un recente pronunciamento della nostra Corte di Cassazione che, in data 3 marzo 2022, con l’ordinanza n. 7047, “ ha ritenuto fondata la richiesta di protezione internazionale ed umanitaria presentata da un cittadino ucraino, obiettore di coscienza, che si è sottratto al servizio di leva in Ucraina per evitare di essere coinvolto in azioni di guerra e di essere costretto a commettere crimini di guerra o contro l’umanità”. Nella nota all’ordinanza si può leggere anche che dall’inizio del conflitto nel Donbass ”oltre 26.000 cittadini ucraini sarebbero stati sottoposti nel loro paese ad azioni giudiziarie per aver evitato, in vario modo, il servizio militare”. Tuttavia, la nota riconosce che entrambi i contendenti (russi e ucraini) sono responsabili di gravi violazioni e di crimini di guerra (https://www.gazzettaamministrativa.it/servizicu/bancadatigari/viewnews/5898d8095428ee310bf7fa3da1864ff7 ).

Questi presunti collaborazionisti vengono scovati sulla base di liste in mano di agenti dell’intelligence inviati da Kiev e aiutati dai residenti del luogo che indicano loro i nomi, gli indirizzi dei sospettati, i quali in molti casi si sono dati alla fuga, immaginando quello che poteva loro accadere se fossero restati. Ha pensato la stessa cosa la maggioranza degli abitanti di Kherson da cui sono state evacuate in questi giorni 115.000 persone, dato che, con una mossa controversa, le truppe russe hanno abbandonato la riva destra del Dnieper, trasferendosi sulla sinistra.

I catturati vengono processati, condannati al carcere, al pagamento di multe, alla confisca dei loro beni e alla perdita dei loro diritti. Secondo i dati diffusi dall’Ufficio del Procuratore generale di Kiev, il governo ha intentato più di 18.000 processi contro I responsabili di crimini contro la sicurezza nazionale, che includono tradimento, sabotaggio, appoggio ad uno Stato aggressore e attacco all’integrità territoriale e all’inviolabilità dell’Ucraina.

Entrando più nello specifico, le punizioni previste dall’ordinamento ucraino includono la privazione del diritto a ricoprire incarichi pubblici fino a 15 anni, la confisca di proprietà, l'arresto fino a sei mesi, la reclusione da 3 a 15 anni o all'ergastolo e la condanna a due anni di lavori correttivi. Se vogliamo, in uno dei tanto deprecati campi di rieducazione (ma non di sterminio) tanto spesso ricordati quale esempio delle nefandezze comuniste da uno dei più assidui frequentatori dei nostri media, Alessandro Sallusti.

Alcuni commentatori, probabilmente “filoputiniani”, hanno sottolineato che di fatto l’esercito ucraino non sta solo combattendo contro i russi, ma anche contro una parte consistente della stessa popolazione di quel disgraziato paese (e ciò almeno dal 2014).

Seguendo l’articolo del 10 novembre del Web Socialist Web Site (https://www.wsws.org/en/articles/2022/11/10/xpmh-n10.html ), ricordiamo qualche fatto tra i tanti. Alla fine di ottobre il direttore di una scuola secondaria di Karkhov, tornata nelle mani degli ucraini, è stato accusato di aver collaborato con i nemici perché aveva riaperto la scuola, aveva avviato le lezioni in russo, consentendo agli studenti di usare libri russi e organizzando l’insegnamento secondo i criteri del paese nemico. Atteggiamento in cui si esprime ancora una volta la politica russofobica di Zelensky, cui i cittadini russo parlanti si sono ribellati pagandone un grande prezzo.

In precedenza un individuo della stessa zona era stato accusato di essere un traditore perché in quanto capo di un’officina di riparazioni stradali aveva messo a disposizione dell’esercito russo materiale di proprietà pubblica. Vengono lanciate accuse anche contro coloro che, così almeno sembra, si sono sforzati di difendere dalla guerra le loro comunità, come nel caso un giovane uomo che ha sorvegliato volontariamente una farmacia e il suo deposito di farmaci a vantaggio di chi ne aveva bisogno.

Ovviamente la caccia ai collaboratori si sta svolgendo in quelle regioni dell'Ucraina che hanno una grande popolazione russa: sono stati istallati uffici investigativi nelle regioni di Lugansk, Zaporozhye, Donetsk, Kharkov e Kherson". Nel mese di agosto passato il New York Times ha pubblicato un articolo sulle attività degli agenti ucraini che operano dietro le linee nemiche, il cui compito è quello di uccidere i collaboratori sospettati. Secondo il quotidiano statunitense, una delle loro missioni, oltre ad uccidere presunti collaboratori, consiste nell’intimidire e nel minacciare gli insegnanti troppo vicini alla cultura russa. Vengono diffuse le immagini degli imputati di collaborazione, che consentono di riconoscerli e mettendo così in gravi difficoltà i loro amici e le loro famiglie, i cui membri potrebbero essere puniti o diventare vittime di vendette private. L'esercito ucraino sta impiegando la tecnologia di riconoscimento facciale fornita dagli Stati Uniti sia per tenere sotto controllo la popolazione che per infierire sulle famiglie dei soldati russi morti, inviando loro le immagini dei loro cadaveri tramite i social. 

Come è ormai noto - lo riporta persino Repubblica - il governo ucraino ha anche desertificato il panorama politico del paese, mettendo al bando il 14 maggio 11 partiti politici, quali, per esempio, "Piattaforma di Opposizione - Per la Vita" (43 deputati) e "Blocco di Opposizione" (6 deputati). Il passato 23 ottobre i partiti messi al bando sono diventati 12, giacché il Servizio di Sicurezza di Ucraina (SBU) ha proibito l’attività del partito socialista per presunti legami con la Russia; oggi i socialisti sono una forza secondaria, ma in passato erano stati il quarto partito più forte del paese (https://www.eldiario.es/internacional/ucrania-ilegaliza-partido-socialista-supuestos-vinculos-prorrusos_1_9647936.html .

Forse sarà già caduta nel dimenticatoio, ma è bene ricordarla, la decisione del Tribunale amministrativo del Distretto di Kiev, presa il 16 dicembre 2017, di rendere illegale il partito comunista di quel paese, proibendogli di partecipare alle elezioni. Secondo Amnesty International ciò costituisce una violazione flagrante della libertà di espressione e di associazione e deve essere immediatamente annullata. Inoltre, sempre secondo A.I. questa decisione non fa avanzare l’Ucraina verso il rispetto dei diritti umani. (https://www.amnesty.org/es/latest/press-release/2015/12/ukraine-communist-party-ban-decisive-blow-for-freedom-of-speech-in-the-country/).

In seguito a questi eventi le sedi del partito in tutto il paese sono state attaccate e incendiate, i militanti sono stati aggrediti, fatti scomparire e uccisi senza poter appellarsi al sistema giudiziario. Eventi che anche noi abbiamo conosciuto in un triste passato.

Sappiamo bene qual è l’arma e la giustificazione usata dai media occidentali per oscurare questi fatti cui d’altra parte ci stanno abituando anche da noi con l’emarginazione dei dissidenti, con frasi quali “in un paese civile in politica estera bisogna essere tutti d’accordo”, con le leggi contro i raduni pericolosi per l’ordine pubblico, certamente anticostituzionale, con il continuo ricorso ai decreti legge con la scusa di supposti stati di emergenza, con la ricostruzione della storia fatta da politici incompetenti e strappata dal libero dibattito tra gli studiosi. L’arma sta nella denuncia della spietatezza e della crudeltà che avrebbe caratterizzato i comportamenti dei militari russi verso la popolazione civile ucraina.

Alcuni rapidi esempi, che tuttavia non intendono dare una visione idilliaca della guerra e dei suoi protagonisti (del resto, è noto “in guerra e in amore tutto è lecito”), ma solo riferire alcuni casi concreti raccontati e successivamente smentiti, ma che non hanno modificato l’ideologia soggiacente alla narrazione diffusa.

Circa un mese fa Pramila Patten, rappresentante speciale dell’ONU sulla Violenza Sessuale nei conflitti, ha dichiarato a AFP (Agenzia France Presse) che si era venuti a conoscenza di più di 100 casi di violenza sessuale di diverso tipo, denunciati da donne ucraine, le quali avrebbero sostenuto che  per fare ciò i russi utilizzavano il viagra. A suo parere si trattava “chiaramente di una strategia militare e di una tattica deliberata” impiegata per disumanizzare le vittime. Purtroppo la funzionaria ad oggi non dispone di nessuna prova di questi crimini e del resto - ha aggiunto - non è suo compito fare ricerche per comprovare l’accaduto. Le fonti qui impiegate sono Twitter e RT (v. https://actualidad.rt.com/actualidad/447724-pramila-patten-confesar-prankers-falta-pruebas-viagra?utm_source=Email-Message&utm_medium=Email&utm_campaign=Email_daily) proibita ai lettori italiani, alcuni dei quali, insieme al signor Valditara, celebrano gioiosamente il giorno della Libertà appositamente inventato.

Concludendo, in altri casi assai noti, alcuni oggetto di grande battage mediatico, come il massacro di Boucha, la cui versione occidentale non risponde a numerosi quesiti secondo Michel Collon, esperto indagatore della “fabbrica del falso” mediatica, o la presenza in Ucraina di laboratori bio-militari, non troppo enfatizzata, occorrerebbe chiederci come mai la cosiddetta “comunità internazionale” non ha voluto mai avviare un’indagine internazionale indipendente come richiesto dalla Federazione russa. Forse sotto c’è qualcosa che non è bene render pubblico?

                                                 

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