Il diritto all’aborto ha sostituito questa settimana la guerra in Ucraina come argomento principale del dibattito politico negli Stati Uniti. A determinare il cambiamento è stata una fuga di notizie senza precedenti dall’interno della Corte Suprema. Secondo il documento ottenuto dalla testata on-line Politico, il più alto tribunale americano avrebbe già deciso, con un voto della maggioranza dei suoi nove membri, di cancellare la protezione garantita a livello federale del diritto all’interruzione di gravidanza che, entro certi limiti, è fissato da quasi mezzo secolo proprio grazie a una storica sentenza della Corte Suprema.

 

La notizia si basa appunto sulla pubblicazione di una bozza del verdetto su cui almeno cinque giudici della Corte intendono convergere per ribaltare definitivamente la sentenza nel caso “Roe contro Wade” del 1973. Quest’ultima rappresenta l’elemento fondante del diritto costituzionale all’aborto negli USA ed è da tempo al centro degli attacchi del Partito Repubblicano e degli ambienti più retrogradi della società civile americana. Come principio generale, l’interruzione di gravidanza è legittima fino a quando il feto non è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero. Una seconda sentenza del 1992 – “Planned Parenthood contro Casey” – aveva in seguito confermato l’impianto stabilito dalla “Roe contro Wade”.

Quello reso pubblico da Politico è il verdetto di un caso all’attenzione della Corte Suprema in questo anno giudiziario e che era stato discusso in aula nel dicembre scorso. Davanti ai giudici era finita una legge dello stato del Mississippi che vieta l’aborto dopo la 15esima settimana di gravidanza. Un tribunale d’appello di New Orleans aveva bocciato il provvedimento approvato dall’assemblea statale a maggioranza repubblicana e i promotori della legge si erano così rivolti alla Corte Suprema.

Da anni, i parlamenti statali dove domina tradizionalmente il Partito Repubblicano stanno legiferando valanghe di restrizioni dell’interruzione di gravidanza, con il preciso intento di innescare cause legali e un intervento della Corte Suprema per stabilirne l’illegittimità come diritto garantito a livello federale. Il consolidarsi di un’ampia maggioranza ultra-conservatrice nel tribunale costituzionale USA in questi anni ha dato sempre maggiore confidenza al fronte anti-abortista e la rivelazione di Politico, se confermata, dimostra come questa strategia possa essere alla fine vincente.

La bozza della sentenza, scritta lo scorso febbraio, non è teoricamente vincolante, dal momento che i giudici potrebbero cambiare il loro voto fino all’ufficializzazione della stessa tra circa due mesi. I cinque giudici che l’avrebbero già sottoscritta – Samuel Alito, Clarence Thomas, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett – hanno però notoriamente inclinazioni ultra-reazionarie e anche l’eventuale voto contrario di quello considerato ancora indeciso, il presidente della Corte John Roberts, non cambierebbe il risultato finale.

Il documento consegnato a Politico è stato scritto dal giudice Alito, nominato da George W. Bush nel 2006, ed è nauseante da tutti i punti di vista. Alito scrive che la sentenza nel caso “Roe contro Wade” è stata “mal concepita”, principalmente perché ha sottratto alla politica la decisione su un tema così “controverso”. L’obiettivo sarebbe perciò di attribuire ai singoli stati la possibilità di legiferare sul diritto all’aborto. Il risultato sarà l’impossibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza negli stati solitamente dominati dai repubblicani, soprattutto quelli del sud e del “Midwest”. Il divieto colpirà in particolare le donne delle classi più disagiate, cioè sprovviste dei mezzi economici per ottenere l’aborto in un altro stato dove il diritto continuerà a essere garantito.

Sempre nella bozza del verdetto, Alito sostiene che nella Costituzione USA non vi è alcun riferimento all’aborto e, per questa ragione, il diritto a esso non può essere stabilito a livello federale. Alito implementa in questo caso la pseudo-dottrina del cosiddetto “originalismo”, cara a molto giuristi conservatori (reazionari), che, dietro all’interpretazione quasi letterale della carta costituzionale del XVIII secolo, conducono un attacco frontale contro diritti democratici codificati nei due secoli successivi da sentenze della Corte Suprema. L’assurdità di questa tesi è confermata dal fatto che, secondo la stessa logica, altri diritti fondamentali non scritti esplicitamente nella Costituzione americana dovrebbero essere anch’essi cancellati, dal diritto di voto alla presunzione di innocenza.

C’è ad ogni modo ben poco da stupirsi per la sentenza della Corte Suprema. Questo tribunale ha da anni imboccato una deriva reazionaria che lo ha fatto diventare in larga misura uno strumento dell’erosione dei principi democratici in atto negli Stati Uniti. È verosimile, quindi, che un verdetto contro l’aborto nelle prossime settimane inauguri un futuro assalto ad altri diritti democratici conquistati grazie a decenni di battaglie civili e sociali.

Almeno altri due punti del testo redatto dal giudice Alito appaiono a dir poco odiosi. Il primo è l’accostamento della sentenza del caso “Roe contro Wade” a quella del caso “Plessy contro Ferguson” che nel 1896 ratificò di fatto la segregazione razziale negli Stati Uniti. Il confronto intenderebbe dimostrare che i precedenti, su cui spesso si basano le decisioni della Corte Suprema, possono essere sbagliati e vanno quindi ribaltati. L’altro è l’equiparazione da parte di Alito tra i “primi fautori dell’aborto” e i sostenitori dell’eugenetica. Paragone a suo dire giustificato dal fatto che alcuni dei primi “erano motivati dal desiderio di ridurre la popolazione afro-americana” e, infatti, “la [sentenza nel caso] Roe contro Wade ha avuto questo risultato demografico”, essendo “i feti di colore abortiti una percentuale sproporzionatamente elevata”.

C’è un altro aspetto da considerare nella rivelazione del sito Politico ed è il tempismo della fuga di notizie e, come già anticipato, il fatto che l’anticipazione di una sentenza della Corte Suprema non sia mai stata passata alla stampa in tempi moderni. In molti si sono naturalmente interrogati sull’identità della fonte e ci saranno quasi di certo indagini per accertare il responsabile o i responsabili. Non è impensabile che si tratti di un’operazione favorita dal Partito Democratico o dall’amministrazione Biden, con l’obiettivo di sfruttare la notizia per ragioni elettorali.

In vista del voto di “metà mandato” del prossimo novembre, che rinnoverà buona parte del Congresso, i democratici sono dati in netto svantaggio e le difficoltà in cui già affogavano Biden e i membri di Camera e Senato si sono acuite dopo l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina. La campagna di sanzioni contro Mosca ha generato contraccolpi negativi soprattutto per i paesi che hanno implementato le misure punitive e la stessa economia americana ne sta risentendo, soprattutto sul fronte dell’inflazione.

Il tentativo di attribuire a Putin le responsabilità della situazione creatasi con la guerra in Ucraina o, più precisamente, a causa della reazione occidentale non sembra insomma avere preso piede nemmeno tra gli elettori americani, che finiranno piuttosto per penalizzare i democratici alle urne in autunno. In questo contesto, l’irruzione di una controversia tradizionalmente caldissima come il diritto all’aborto arriva perciò al momento opportuno, visto che può essere utilizzata in fretta per una campagna politica contro l’oscurantismo repubblicano.

È comunque improbabile che l’operazione possa produrre risultati per l’amministrazione Biden. L’economia resterà il tema principale della campagna elettorale e, in ogni caso, i democratici non hanno particolare interesse per i diritti delle donne, come conferma il fatto che non hanno mai approvato una legge che consolidasse il diritto all’interruzione di gravidanza nemmeno quando potevano contare su una maggioranza più o meno ampia al Congresso.

Come per tutte le promesse elettorali di stampo progressista, il Partito Democratico ha sempre usato anche la ratifica del diritto all’aborto per mobilitare il proprio elettorato, per poi deluderlo puntualmente una volta al potere. Biden e i leader del suo partito intendono fare la stessa cosa anche in quest’occasione, tant’è vero che il presidente ha già fatto un appello agli americani a difendere i diritti delle donne recandosi alle urne e votando per i democratici il prossimo novembre.

Se la deriva anti-democratica della Corte Suprema americana è un dato oggettivo che finirà per restringere drasticamente i diritti delle donne, questi ultimi e i principi democratici in genere non saranno comunque difesi da un’amministrazione e da un partito impegnati, tra l’altro, nell’appoggiare un regime infestato di neonazisti e nell’alimentare una guerra che rischia sempre più di esplodere in un rovinoso conflitto nucleare.

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