di Raffaele Matteotti

L’intervento americano in Somalia ha per ora raso al suolo le località di Hayo, Garer, Bankajirow e Badmadowe, oltre ad alcuni ettari di territorio somalo non urbanizzato. Con il pretesto di voler “colpire” tre terroristi collegati agli attentati alle ambasciate americane in Africa, gli Stati Uniti sono intervenuti con bombardamenti a tappeto violando la sovranità di uno stato e commettendo un crimine di guerra secondo le leggi internazionali. Non esiste infatti alcuna legge al mondo che permetta ad alcuno di bombardare un villaggio per uccidere uno o più terroristi. La pietosa scusa secondo la quale le vittime civili di questa pratica criminale sarebbero “giustificate”, ricorda quelle dei tedeschi che uccidevano i civili quando non erano in grado di catturare i partigiani, all’epoca “terroristi” per il Reich. C’è la stessa indifferenza per la vita umana degli altri alla radice dell’approvazione di azioni del genere. Lo stesso razzismo di fondo E la dimostrazione di questo assunto sta nel fatto che se nei quattro villaggi ci fossero stati degli americani, non li avrebbero certo rasi al suolo. Non avrebbero considerato “giustificabile” ucciderli per colpire terroristi, neanche se questi un giorno avrebbero potuto organizzare altri attentati o in quanto parte del network del terrore.
La soverchiante superiorità militare americana su eventuali somali armati (ancora più eclatante di quella etiope, già dimostratasi invincibile in campo aperto) rende ancora di più la misura del disprezzo per le vite dei civili rimasti uccisi. Come hanno mandato cannoniere volanti ed elicotteri, così gli americani potevano mandare truppe speciali a catturare gli eventuali “cattivi” modulando l’intervento in maniera che ai civili fosse data una possibilità di scampo. Purtroppo per i somali, rischiare la vita di un soldato americano per un civile somalo (o mille) è espressamente vietato dalla teoria di guerra insegnata al Pentagono.

Agli abitanti delle quattro località non è stata concessa alcuna possibilità, quelli che non si erano uniti ai somali che avevano scelto la via della fuga al momento dell’invasione etiope sono stati inceneriti. Con loro sono stati rasi al suolo i loro villaggi. Ai loro parenti in fuga non è riservata miglior sorte. Gli americani hanno preteso la chiusura del confine con il Kenya e per quei profughi c’è ancora il rischio di essere considerati nel posto sbagliato quando l’Air Force sferrerà il prossimo attacco ai “terroristi”. Nel mentre vagano indifesi in balia delle decisioni dei militari americani ed etiopi.

Questa volta Washington ha avuto la decenza di non parlare di “armi intelligenti”, e si è congratulata con se stessa per il “successo” della missione. Il governo somalo è stato sorpreso con le mutande in mano. Inizialmente il presidente Yusuf ha affermato di aver appreso la notizia dalla radio, poi ha detto di aver autorizzato l’intervento. C’è da chiedersi chi possa mai credere Yusuf in grado di autorizzare qualcosa di diverso da quanto deciso dalle volpi del Dipartimento di Stato. C’è anche da chiedersi quale terrificante responsabilità porterà Yusuf agli occhi di molti somali. C’è da chiedersi anche quanti somali diventeranno “terroristi” per vendicare il massacro dei loro parenti. Difficilmente alla fine di un giro di domande banali e scontate si potrà pensare a questa operazione come a un “successo”, qualunque cosa si voglia intendere con il termine.

L’attacco americano alla Somalia segnala quindi l’apertura del terzo fronte di guerra statunitense, le operazioni sembrano destinate a durare a lungo (a smentirne ulteriormente il legame con il singolo terrorista), fronte aperto forse per distrarre l’attenzione dai fallimenti in Iraq e Afghanistan, ma aperto in maniera ancora più ostile a qualsiasi legalità internazionale e alla logica politica di quanti non siano americani della squadra di Bush.


Lo stesso governo etiope vorrebbe sfilarsi al più presto, ma non gli sarà possibile. Al terzo giorno di manifestazioni etiopi e armati del Governo Transitorio hanno sparato sulla folla a Mogadiscio. Subito dopo sono giunte le notizie sui bombardamenti americani e ieri sono cominciati combattimenti diffusi nella capitale. Le truppe etiopi sono state attaccate in diverse occasioni da somali molto arrabbiati e la capitale da oltre 24 ore è accompagnata da un concerto di esplosioni e spari. Gli ospedali sono già stati saturati dall’afflusso dei feriti. Le forze etiopi hanno sigillato alcune aree, ma è evidente che non esiste un fronte, Mogadiscio è di nuovo un campo di battaglia.
In Etiopia intanto sono arrivati gli americani, ma non per liberare Adis Abeba dalla dittatura di Meles Melawi. Sono ai confini con la Somalia e la loro presenza è la spia di una scarsa fiducia nelle capacità operative degli etiopi e della volontà di esercitare la massima pressione sulla Somalia da tutte le direzioni.

La comunità internazionale non ha reagito bene all’iniziativa americana; fino alla settimana scorsa poteva permettersi di passare sottovoce l’invasione etiope perchè alle opinioni pubbliche era ancora rappresentata come una questione regionale tra paesi che non interessano a nessuno, oggi appare evidente a chiunque come l’attore principale che ha deciso di trasformare di nuovo la Somalia in un campo di battaglia sia il solito gruppo di americani impazziti. Bush, Rice e Jenday Frazier hanno gestito l’intervento e i passi che hanno condotto a questa nuova guerra e ne portano la responsabilità di fronte al mondo.

Bush sembra intenzionato ad ignorare i richiami alla ragionevolezza che hanno sedotto gli elettori americani inducendoli a premiare i suoi concorrenti democratici. In Iraq ha proposto di alzare il livello dello scontro, in Palestina ha armato quelli di Fatah e li spinge alla guerra civile contro Hamas, mentre in Afghanistan attende la prossima primavera per la ripresa dei combattimenti in grande stile lasciando il paese allo sbando. Da qui a fine mandato Bush potrebbe fare ancora danni incalcolabili a dispetto delle proteste dell’ONU e della comunità internazionale e purtroppo sembra davvero intenzionato a seminare altre guerre e distruzioni.

Il gendarme del mondo è impazzito e solo gli stessi americani hanno qualche speranza di fermarlo, a tutti gli altri non resta che incrociare le dita e sperare di non finire mai nel suo mirino.

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