di Michele Paris

Con una mossa probabilmente senza precedenti, a poco più di una settimana dalle elezioni presidenziali americane l’FBI ha comunicato al Congresso di Washington la riapertura delle indagini sulla candidata Democratica, Hillary Clinton, relativamente al caso dell’utilizzo di un server di posta elettronica privato quando ricopriva la carica di segretario di Stato nell’amministrazione Obama.

La decisione, salutata con soddisfazione da Donald Trump, arriva alcuni mesi dopo che il direttore della polizia federale USA, James Comey, aveva dichiarato che il caso era stato chiuso senza incriminazioni, in quanto la condotta di Hillary era stata sì imprudente ma non costituiva nessun reato.

Come aveva rivelato per la prima volta il New York Times nella primavera del 2015, Hillary aveva scambiato la propria corrispondenza al dipartimento di Stato senza utilizzare l’account governativo assegnatole, come previsto dalla legge, potenzialmente esponendo materiale riservato ad attacchi informatici e sottraendo lo stesso alla conservazione per essere reso pubblico in futuro.

Comey ha indirizzato venerdì una lettera a otto commissioni del Congresso, informandole di come l’FBI sia venuto a conoscenza di migliaia di nuove e-mail riconducibili forse alla Clinton nel corso delle indagini su un altro caso, relativo al presunto invio di messaggi “espliciti” a una 15enne da parte dell’ex deputato Democratico di New York, Anthony Weiner, ex marito dell’assistente di Hillary, Huma Abedin. Quest’ultima è una fedelissima dell’ex segretario di Stato ed è da tempo indicata da molti come il possibile prossimo capo di Gabinetto alla Casa Bianca.

Oltre che per il tempismo, l’iniziativa del capo dell’FBI è estremamente dubbia perché è stata presa ancora prima che le nuove e-mail fossero esaminate e fornissero prove a carico della Clinton. Comey ha scritto infatti al Congresso che “gli investigatori [dell’FBI] dovranno verificare se queste e-mail contengono informazioni classificate”, mentre al momento non è possibile stabilire “se questo materiale è significativo”.

Per la stampa USA, è inoltre piuttosto insolito anche il fatto che l’FBI dia notizia in anticipo al Congresso della possibile riapertura di un’indagine, ma Comey si è giustificato sostenendo che la mossa è stata fatta perché allo stesso organo legislativo aveva comunicato nel mese di luglio l’archiviazione del caso sulle e-mail di Hillary Clinton.

Per innumerevoli ragioni, la decisione del numero uno del “Bureau” non può che avere implicazioni politiche, la cui gravità è evidente malgrado sia difficile stabilirne con certezza le motivazioni. Comprensibilmente, lo staff di Hillary e la stessa candidata hanno reagito in maniera dura all’annuncio dell’FBI, chiedendo in primo luogo al direttore Comey di chiarire al più presto la natura del materiale in esame e se vi siano documenti legati al caso già archiviato.

La decisione dell’FBI dimostra comunque come all’interno della classe dirigente degli Stati Uniti continuino a esserci profonde divisioni e pressioni contrapposte in reazione alle scosse prodotte dalla crisi politica in cui è precipitato il paese dopo la conquista della nomination per la Casa Bianca di due candidati ampiamente screditati e visti con ostilità dalla grande maggioranza della popolazione.

Le diverse posizioni che animano ad esempio l’agenzia federale di polizia e di intelligence diretta da James Comey sono emerse dai racconti dei giornali americani in questi giorni. Il Dipartimento di Giustizia, da cui dipende l’FBI, avrebbe avvertito il direttore della pericolosità dell’annuncio, dal momento che esso viola la tradizionale politica di evitare iniziative che possano influenzare elezioni imminenti. Comey avrebbe deciso invece di agire ugualmente proprio per evitare di subire critiche se la notizia fosse uscita dopo il voto.

Altre fonti giornalistiche hanno parlato al contrario di pressioni su Comey dopo la chiusura senza incriminazioni dell’indagine sulle e-mail di Hillary la scorsa estate. Ciò dimostrerebbe forse che vi è almeno una fazione all’interno dell’FBI che intende far naufragare la sua candidatura. Un’eventualità, quest’ultima, che risulta apparentemente difficile da credere, poiché la ex first lady sembra essere la candidata alla presidenza di gran lunga preferita dall’apparato militare e della sicurezza nazionale.

La situazione dietro le quinte potrebbe essere dunque più complicata di quanto appare. Se un’eventuale vittoria di Donald Trump viene vista come un serio pericolo per la stabilità degli Stati Uniti e per la prosecuzione delle aggressive politiche nei confronti di paesi come Russia e Cina, è altrettanto vero che le svariate polemiche, i danni di immagine e le grane legali subite da Hillary Clinton rischiano di riflettersi sulla nuova amministrazione Democratica fin dal primo giorno.

Gli scandali che hanno coinvolto Hillary in questi mesi, così come le indagini e una possibile incriminazione, graveranno sulla sua eventuale presidenza, distogliendola dall’implementazione di quelle politiche relativamente alle quali, sia sul fronte interno sia su quello internazionale, i poteri che la sostengono, o l’hanno sostenuta finora, intendono vedere risultati concreti in tempi brevi.

Se anche lo scenario avesse questi contorni, resta difficile comprendere quali siano gli obiettivi esatti delle forze che sono dietro alla decisione dell’FBI di penalizzare Hillary Clinton. Nella più grave delle ipotesi, la riapertura delle indagini sulla candidata Democratica potrebbe essere volta a farle perdere le elezioni dell’8 novembre.

Oppure, visti i timori suscitati da una presidenza Trump, a colpire fin da subito un’eventuale amministrazione Clinton, così da logorarla con le controversie legali in corso e, una volta spazzata via la minaccia Trump, costringere magari Hillary a farsi da parte ben prima della fine del suo mandato.

Nonostante le incognite, quel che è certo è che l’annuncio del direttore dell’FBI non ha nulla a che vedere con la giustizia o il dovere di fare luce su una candidata che, pure, presenta fin troppi lati oscuri. L’intervento della polizia federale nelle elezioni per la Casa Bianca rappresenta piuttosto la più recente ingerenza della classe dirigente degli Stati Uniti, o di una parte di essa, in un processo apparentemente democratico per manipolarlo, secondo i propri interessi, dietro le spalle dei cittadini americani.

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