di Michele Paris

Il clamoroso stallo attorno alla firma del trattato di libero scambio tra l’Unione Europea e il Canada - Accordo Economico e Commerciale Globale o CETA - è stato superato nella giornata di giovedì dopo che le trattative, condotte da Bruxelles e dal governo federale belga, sembrano avere convinto le autorità della regione autonoma della Vallonia ad abbandonare la propria opposizione ad alcune condizioni previste dal trattato stesso.

Se l’intesa dovrebbe ora consentire una più o meno rapida ratifica del CETA da parte dei singoli parlamenti nazionali, la disputa consumatasi nei giorni scorsi ha mostrato ancora una volta la situazione di grave crisi che sta attraversando l’UE, travagliata da crescenti divisioni e dal progressivo divergere degli interessi dei paesi che ne fanno parte.

Quando la firma sul trattato euro-canadese sembrava ormai cosa fatta, il governo autonomo vallone, la cui approvazione era necessaria per il via libera al CETA del Belgio dopo l’OK di tutti gli altri paesi UE, aveva bloccato l’intero processo a causa di forti perplessità su almeno un paio di punti dell’accordo. Il parlamento vallone aveva espresso riserve circa gli effetti sul proprio settore agricolo dell’abbattimento dei dazi doganali applicati ai prodotti canadesi e sulla clausola che affida a un arbitrato sovranazionale eventuali cause intentate dalle grandi aziende contro i governi che “minacciano” i loro investimenti.

Lo scorso fine settimana erano scattate frenetiche trattative con le autorità della Vallonia per sbloccare il trattato, ma lunedì il primo ministro conservatore belga, Charles Michel, era stato costretto ad annunciare che il suo paese non era nella posizione di poter sottoscrivere il CETA. Prevedibilmente sono poi seguite ulteriori pressioni sul governo della regione francofona, con membri del governo canadese che avevano espresso più volte pubblicamente il loro disappunto.

Il ministro per il Commercio, Chrystia Freeland, aveva accusato l’UE di non essere in grado di assicurare l’approvazione del CETA da parte dei suoi membri per poi abbassare relativamente i toni e dichiarare che il Canada aveva fatto tutto il possibile per mandare in porto il trattato, così che ora sarebbe toccato a Bruxelles fare la prossima mossa per sbloccare la situazione.

Visto il protrarsi delle trattative con il governo regionale vallone, la delegazione canadese, che avrebbe dovuto includere lo stesso primo ministro, Justin Trudeau, ha cancellato il viaggio in Europa per la firma del trattato, prevista per giovedì.

Già mercoledì, però, Trudeau aveva assicurato nel corso di un intervento alla Camera del parlamento di Ottawa che un esito positivo della vicenda relativa al CETA era ormai imminente. Nella tarda mattinata di giovedì, è stato alla fine il premier belga a dare per primo la notizia su Twitter dell’accordo con la Vallonia, spiegando poi che il governo centrale e le autorità regionali hanno raggiunto l’intesa su un “testo modificato”, senza fornire ulteriori spiegazioni.

Michel ha sostenuto che ora i parlamenti dei vari paesi UE avranno la possibilità di ratificare il trattato con il Canada già a partire dai prossimi giorni, ma eventuali modifiche al testo potrebbero rimettere in moto tutto il processo di approvazione, sempre che Ottawa accetti i cambiamenti. Il capo del governo regionale fiammingo in Belgio, Geert Bourgeois, ha comunque garantito che il testo dell’accordo non è stato alterato.

Secondo i media, al trattato sono state aggiunte quattro pagine nelle quali si è cercato di far fronte alle apprensioni del governo vallone. Nella prima fase dell’implementazione del CETA non verrà ad esempio introdotto il sistema dell’arbitrato, sul quale si esprimerà inoltre la Corte Europea di Giustizia,  mentre i dazi sui prodotti agricoli potrebbero essere riapplicati in caso di “squilibri di mercato”.

Il CETA dovrebbe cancellare i dazi imposti sul 98% dei prodotti che vengono scambiati tra il Canada e i paesi UE, facilitando l’ingresso sui rispettivi mercati dei prodotti realizzati su entrambe le sponde dell’Atlantico. In un frangente storico caratterizzato dall’adozione di nuovi dazi e tariffe doganali da parte di molti paesi in risposta alla crisi economica, l’implementazione di un accordo come il CETA contribuisce dunque a incrementare sensibilmente i profitti delle grandi aziende esportatrici.

Come l’altro accordo in fase di negoziazione tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea (TTIP, Partnership Transatlantica sul Commercio e gli Investimenti), anche il CETA è stato oggetto di ripetute proteste per via delle clausole che favoriscono in maniera spropositata le multinazionali ed erodono i diritti sociali e del lavoro, nonché le protezioni ambientali e la sicurezza alimentare.

La supremazia del capitale anche sulla sovranità dei singoli paesi, sostanzialmente sanzionata da questi trattati, è spesso al centro dell’attenzione di coloro che si oppongo a questi ultimi, come appunto il governo regionale della Vallonia.

Bruxelles e Ottawa avevano precisato che, per alleviare le preoccupazioni in questo ambito, le norme sull’arbitrato internazionale per la “protezione degli investimenti [dalle leggi nazionali]” erano già state allentate. Ad esempio, un’azienda privata che ha investito in uno dei paesi coperti dal trattato non potrà fare causa contro un governo nel caso di provvedimenti che hanno “un impatto sui profitti”, ma solo se dovesse esserci “discriminazione” nei suoi confronti.

Inoltre, i membri del tribunale sovranazionale che presiederà a queste cause non saranno nominati dagli “investitori”, bensì dall’Unione Europea e dal Canada, cioè, in definitiva, da quelle entità che hanno negoziato un trattato che beneficia in larghissima misura gli stessi “investitori”. Il tribunale, infine, non può decidere l’abrogazione di un provvedimento preso da un determinato governo, ma solo “un risarcimento” e “solo al livello necessario per compensare le perdite effettivamente subite” dalla compagnia che ha intentato la causa.

Nonostante qualche modifica, il contenuto del CETA assegna quindi ampi diritti al capitale rispetto a quelli di governi e parlamenti democraticamente eletti. I cambiamenti operati dalle due parti in questo senso sono poi probabilmente stati concordati per ottenere l’approvazione di un trattato che, per quanto importante, viene considerato da molti come un antipasto del vero piatto forte, ovvero il ben più ingente TTIP.

Il naufragio del CETA avrebbe infatti messo in ulteriore dubbio il trattato con gli Stati Uniti, peraltro già appeso a un filo dopo la presa di distanza di Hillary Clinton e soprattutto Donald Trump, ma anche alla luce delle dichiarazioni fortemente critiche dei mesi scorsi di numerosi leader europei, come il presidente francese, François Hollande, e il ministro dell’Economia e vice-cancelliere tedesco, Sigmar Gabriel.

Gli sforzi di Bruxelles per giungere all’approvazione di questi trattati, assieme alla segretezza che avvolge spesso i negoziati e alla retorica fuorviante con cui vengono celebrati inesistenti benefici per la popolazione dell’Europa, indicano comunque che essi sono considerati cruciali sia per la sopravvivenza dell’Unione sia per il perseguimento in maniera indipendente dei propri interessi economici e strategici in una fase di aggravamento delle tensioni internazionali.

Questa impressione è stata rafforzata anche dalle dichiarazioni di molti leader europei e canadesi, i quali nei giorni scorsi hanno più volte avvertito che un eventuale fallimento del CETA avrebbe avuto serie conseguenze per l’immagine e la posizione dell’UE nel mondo.

Anche per il Canada, peraltro, la ratifica del CETA costituisce un elemento strategico centrale, tanto più in un clima politico, a sud dei propri confini, che prefigura la possibile messa in discussione del Trattato Nord Americano di Libero Scambio (NAFTA) dopo le elezioni presidenziali di novembre.

Il CETA era stato lanciato dal governo ultra-conservatore di Stephen Harper ed è stato in seguito appoggiato da quello Liberale di Trudeau. Anzi, l’approvazione del trattato è diventata ancora più urgente per la classe dirigente e il business canadesi, viste le tensioni tra l’Europa e la Russia, potenziale concorrente di Ottawa nelle forniture di petrolio all’UE, e l’uscita dall’Unione della Gran Bretagna, tradizionale porta d’accesso al mercato europeo per i paesi nordamericani.

Quale che sia la sorte del CETA, o del TTIP, questi e altri trattati continueranno a incontrare l’opposizione degli attivisti e, quando informati, dei cittadini comuni, che vedono correttamente in essi un formidabile e anti-democratico strumento per l’ulteriore rafforzamento del capitale transnazionale e per lo smantellamento di quel che resta dei loro diritti in ambito economico e sociale.

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